Cosa sta succedendo nel mondo del mezcal
La produzione del mezcal è tradizionalmente legata alle piccole aziende familiari. Il distillato è stato sempre prodotto secondo metodi artigianali e tradizionali, all'interno della palenque, dove le agavi venivano coltivate nell’armonia del lavoro agricolo, in stretta relazione con le altre colture.
Si può dire che la principale differenza tra mezcal e tequila è proprio questa qualità della produzione: mentre la tequila è stata contaminata dall’industrializzazione – con molte distillerie finite nel portafoglio delle multinazionali –, il mezcal è sempre stato fatto in modo artigianale.
Ma oggi questa caratteristica è fortemente minacciata da un fenomeno analogo a quello occorso alla tequila.
Quando, una decina di anni fa, le multinazionali si sono accorte che il mezcal aveva un buon mercato, hanno iniziato a investire nel prodotto, anzitutto acquistando le materie prime dai piccoli produttori, con due importanti conseguenze.
Da un lato il prodotto, essendo ottenuto da materie prime provenienti da terreni diversi, perde la sua originalità e il suo carattere distintivo di distillato artigianale. Da un altro lato, acquistando dai singoli produttori, la grande azienda richiede significative variazioni delle abitudini di lavoro, spingendo verso l’aumento della produzione e, di conseguenza, modificando i metodi sia di coltivazione che di distillazione.
Il rischio di tutto questo è che si perdano valori fondamentali, come l’importanza dell’autore, i metodi ancestrali di lavorazione, il rispetto della materia prima.
Il Consejo Regulador del Mezcal
Un importante cambiamento storico è avvenuto a partire dal 2004, con la nascita del Consejo Regulador del Mezcal (CRM), che gestisce le autorizzazioni delle DO (Denominaciones de Origen), vale a dire che ha il compito di autorizzare un’azienda a chiamare “mezcal” il proprio distillato di agave. Da allora, ogni distilleria riconosciuta dal CRM, dispone di un NOM: un numero di identificazione posto sull'etichetta che permette di identificare l'origine del prodotto.
La nuova legislazione, però, ha stabilito regole molto ferree per autorizzare i produttori a denominare “mezcal” i loro distillati di agave. Le norme del CRM richiedono infatti dati, analisi e certificazioni che possono essere ottenuti solo con procedure piuttosto complesse.
Un primo enorme problema nasce dunque dal fatto che la complessità di queste procedure ha penalizzato soprattutto i produttori più piccoli. In particolare, per le misurazioni e le analisi di materie prime e prodotti lavorati, occorrono chimici e strumentazione avanzata, ovvero mezzi che i piccoli produttori locali non possono permettersi.
Se quindi da un lato questa regolamentazione sembra garantire alcune caratteristiche dei prodotti autorizzati a chiamarsi “mezcal”, dall’altro lato ottenere la certificazione DO è un processo molto costoso e laborioso per i più autentici e tradizionali agricoltori-produttori di mezcal, un processo di fatto realizzabile solo per aziende ben finanziate e organizzate.
Per far fronte a questi ostacoli, quindi, i piccoli produttori sono spinti a lavorare di fatto per i più grandi, così da ottenere la certificazione, rinunciando però alla qualità in nome della quantità, oltre che al valore “autoriale” del loro prodotto.
Cosa è cambiato, dall’agricoltura alla distillazione
Accade così che siano anche le norme del CRM a favorire le grandi aziende a discapito delle piccole a conduzione famigliare, che essendo impossibilitate ad attrezzarsi, sono spinte alla vendita.
Le due cose sono ovviamente connesse l’una all’altra: i piccoli produttori vendono materie prime alle aziende più grandi per incrementare i propri guadagni, e di conseguenza sono costretti a puntare alla quantità e non più alla qualità. Se un tempo la loro produzione era limitata a circa 4 o 5 batch all’anno, oggi coltivano agavi più intensamente, anche in monocoltura, per intensificarne la produzione, smettendo di far crescere le piante nella tradizionale biodiversità, e cioè alternate a colture tipiche dell’agricoltura locale, come il mais, l’insalata, i fagioli: le coltivazioni proprie della dieta de la milpa, alla base dell’alimentazione messicana.
La coltivazione dell’agave subisce quindi un forte incremento, perdendo di conseguenza qualità, con un impatto che modifica tutto il lavoro, fino alla distillazione. La conseguenza è che il gusto storico del mezcal è già cambiato: molto di quello che stiamo bevendo negli ultimi anni viene da agavi tenere, non mature, coltivate in monocoltura, e senza grossa varietà delle materie prime, dal momento che la quasi totalità è del tipo Espadin, vale a dire l’agave che cresce più precocemente e dà più resa.
Le altre varietà selvatiche di agave usate tradizionalmente per la distillazione, per quanto distillate assai meno, vengono comunque a loro volta coltivate in modo intensivo, e in questo modo perdono la loro stessa natura selvatica, con delle conseguenze molto concrete anche sullo stesso equilibrio del mondo del mezcal in generale.
Se si pensa agli attuali cambiamenti climatici, i problemi causati dalle novità di questi anni diventano molteplici. Togliendo le altre piante, disboscando e coltivando solo agave, c’è più erosione, il che, unendosi alla variazione del microclima dei terreni dovuta alla mancanza di piante che creano ombra, causa anche più siccità, portando valanghe e frane dei terreni stessi.
La regolamentazione rigida delle norme influisce poi anche direttamente sulla distillazione, non solo per via delle differenze della materia prima.
Ad esempio si stanno iniziando a usare pezzi di inox nell’alambicco (come il turbante e la serpentina), perché le nuove norme proibiscono l’uso di metalli pesanti come il piombo, con cui erano composti gli alambicchi più antichi.
E, più in generale, gli impianti si ingrandiscono, con la conseguenza che inizia a essere usata anche la distillazione continua in multicolonna.
Con tutti questi cambiamenti, il mezcal delle grandi ditte non può dunque più avere l’originalità e l’autenticità che hanno sempre contraddistinto questo distillato.
Un concetto base, parlando di qualità del mezcal, è infatti sempre stato la coincidenza tra agricoltore e artigiano: il mezcal è considerato un prodotto in qualche modo “d’autore”, dove è il singolo produttore che coltiva e lavora la sua agave, nel suo terreno, sfruttando tutto quello che è presente, inclusa la coltura delle altre piante tipiche della dieta messicana.
Il fenomeno dell’uscita dal CRM
La certificazione CRM è cominciata nel 2004. Da allora molti piccoli produttori hanno cercato di adeguarsi alle norme richieste, ma come dicevamo non tutti possono riuscirci.
Per reagire a questo problema che rischia di far perdere tutto il patrimonio tradizionale della produzione artigianale ancestrale del mezcal, è nata una sorta di “movimento” da parte di alcuni produttori tradizionali, una reazione che consiste semplicemente nel non chiamare più “mezcal” il loro distillato, rinunciando quindi alla sola denominazione, ma conservando tutto il lavoro secondo tradizione.
Limitandosi infatti a chiamare il loro prodotto “distillato di agave” o “aguardiente de agave”, possono rinunciare a tutta la procedura richiesta per la certificazione, producendo però lo stesso distillato tradizionalmente prodotto, e naturalmente in perfetta regola, pagando le tasse e rispettando comunque le norme igieniche e produttive, oltre che effettuando le normali analisi di laboratorio, meno complesse.
Così è nato un nuovo mercato di un tipo di mezcal che, però, non può tecnicamente chiamarsi mezcal – non può cioè riportare questo nome sulle bottiglie, pur essendo per così dire “più mezcal” degli altri.
È soprattutto in Usa che questi distillati di agave vengono considerati “più autentici” da molti appassionati.
Ad aiutare nella scelta, una buona “etichetta narrativa” può valere in molti casi quanto una certificazione, se non di più, evidenziando ciò che più conta nel lavoro di produzione, ovvero prendere la materia prima da un solo pezzo di terra, selezionando un tipo preciso di agave.
Già soltanto questo fondamentale punto di partenza è l’espressione di un preciso modo di lavorare, che parte dal rispetto del terroir, dalla terra alla pianta, per continuare con il processo di produzione, che deve essere pulito, senza chimica, e quindi concludersi con la qualità della distillazione.
È tutto questo che permette al singolo produttore di tornare a essere, come è sempre stato nel mondo del mezcal, un “autore” – un agricoltore e artigiano – che fa un buon prodotto, autentico e originale.