Una possibilità, un incontro: il Nikka Perfect Serve


7 settembre 2022

Dopo due anni di pausa, torna la competizione che premia i bartender per la loro capacità di trasformare il servizio in un’esperienza unica.
Ve ne parliamo con l’aiuto di Stanislav Vadrna, Nikka Brand Hospitality Advocate e anima del Nikka Perfect Serve fin dalla sua prima edizione, nel 2010. 

Immaginate di entrare in un locale dopo una pessima giornata, con il bisogno di tirare un po’ il fiato. Il bartender, però, vi accoglie quasi senza salutare, non vi guarda negli occhi, si limita a prendere la vostra ordinazione e vi porta un cocktail preparato in serie, come se nel bicchiere ci fosse tutto quel che importa. All’opposto, immaginate che esista un modo di fare bartending in cui la vostra presenza nel locale vada oltre il prodotto servito, dando importanza anche allo scambio umano tra chi sta dietro il bancone e chi arriva come ospite. Un modo che, oltre al contenuto del bicchiere, dia importanza anche al tempo trascorso nel locale, per renderlo un’esperienza unica e memorabile.

È il concetto alla base del Nikka Perfect Serve, concorso per bartender ideato da Stanislav Vadrna e creato insieme a Nikka Whisky e La Maison du Whisky, che nel 2022 fa il suo grande ritorno dopo due anni di stop. Una competition diversa da tutte le altre, la cui linea guida portante è caratterizzata dalla filosofia giapponese dell’Ichi-go Ichi-e. Per spiegare il concetto si può utilizzare la traduzione letterale – una possibilità, un incontro – oppure ci si può rivolgere, come abbiamo fatto noi, alle parole appassionate del Nikka Brand Hospitality Advocate Stanislav Vadrna.

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Ogni volta che una persona si presenta al bancone del bar è un’opportunità. “One chance, one encounter”, dice Stanislav. “Dobbiamo fare tesoro di ogni incontro per la sua unicità e irripetibilità, e mostrare sempre amore incondizionato, che è la chiave per lo spirito universale della vera ospitalità”. La vera essenza dell’ospitalità è quella di aprire le porte di una comunicazione totale, permettendo all’umanità altrui di toccare la nostra e riuscendo ad anticipare i bisogni della persona che abbiamo davanti.

Facciamo un passo indietro, e vediamo meglio il concetto di Ichi-go Ichi-e che Stanislav ha scoperto prima nel 2005 e poi nel 2006, grazie all’incontro con il suo mentore, il master bartender giapponese Kazuo Uyeda del Tender Bar a Ginza, nel cuore del quartiere elegante di Tokyo, il primo ad applicare il concetto nel mondo del bartending.

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Il temine Ichi-go Ichi-e risale al XVI secolo ed è un’espressione che viene fatta risalire al maestro del tè e monaco buddista Sen No Rikyu, e che è stata codificata dal suo apprendista Yamanoue Soji. La cerimonia del tè giapponese – il Chado – è una delle arti tradizionali zen più conosciute nel mondo, e ha a che fare con i concetti di armonia, rispetto, purezza e tranquillità. Nelle istruzioni lasciate scritte da Yamanoue Soji, si raccomanda di prestare per l’appunto il necessario rispetto all’ospite “come se fosse un incontro che potrebbe avvenire solo una volta nella vita”. All’epoca di Sen No Rikyu era frequente che il maestro e i suoi ospiti si conoscessero già e si frequentassero abitualmente, eppure il principio alla base della cerimonia del tè è che l’incontro di un giorno non può mai essere ripetuto esattamente, ed è quindi un’occasione irripetibile.

Lo stesso concetto è alla base del Nikka Perfect Serve. “Abbiamo solo questo momento da condividere, per cui dobbiamo restare presenti”, continua Stanislav Vadrna. La competition ha a che fare con “la creazione e condivisione di pratiche che alzano il livello dell’esperienza del cliente – che è ospite nel vero senso del termine e non mero consumatore – e con lo sviluppo di cuori, menti e corpi ospitali”. Soprattutto, il punto è prendersi cura delle persone, non del proprio ego di bartender.

Il Nikka Perfect Serve non è solo un concorso per il cocktail migliore, ma per il bartender migliore, e quello che rende migliore il bartender o la bartender è la sua capacità di ascoltare chi ha davanti al bancone, di fare le domande giuste, di capire e anticipare i suoi bisogni.

Il Nikka Perfect Serve ha dunque, come negli anni precedenti, a che fare con un altro importante concetto giapponese legato all’ospitalità, quello di omakase - letteralmente “lascio a te” – vale a dire il modo con cui l’ospite si affida alla persona dietro al bancone. Durante la competition tre giudici assumono il ruolo di clienti indecisi, dando modo ai/alle concorrenti di mostrare tutte le proprie capacità di ascolto ed empatia. Per quindici minuti, il tempo della prova, chi è dietro al bancone deve essere completamente presente e rilassato, perché gli è stata data piena fiducia. Il punto fondamentale è fare domande: la prima, secondo Stanislav, è sempre la stessa, vale a dire “Come posso aiutarti?”. Il rischio in agguato è sempre quello di una forma di omakase distorta, tipicamente occidentale, per cui ci si convince di sapere cosa sia meglio per l’ospite, e magari si fanno calare dall’alto informazioni sul drink come se si fosse maestri, e non amici appassionati; non funziona così, e se non si fanno domande non si arriva al risultato sperato. Stanislav fa l’esempio dell’ospite che, per esempio, è appassionato di golf: quanto può migliorare la sua esperienza di bevuta se nel cocktail ci trova un cubetto di ghiaccio a forma di pallina da golf, fatta apposta per lui?

L’omakase non ha a che fare soltanto con la preparazione di un drink su misura, ma esprime una filosofia più profonda: l’arte di anticipare i bisogni dell’altro ci permette infatti di capire che l’altro non esiste, perché siamo tutte e tutti la stessa cosa. “Muhinshu”, vale a dire ‘no guest, no host’: non c’è nessuna distinzione tra i due ruoli, perché la cosa fondamentale è la propria umanità. Questo istante in cui si crea una connessione tra esseri umani è uno spazio vuoto in cui ricevere e godere il momento. Il rispetto, fondamentale in questo come in ogni scambio, deve essere assolutamente reciproco, e richiede anche a chi è ospite di essere consapevole del proprio ruolo e restare presente nel momento per meglio apprezzare il lavoro della persona dietro al bancone. Una condivisione tanto profonda ha un effetto domino, perché è inevitabile tornare a casa portando con sé qualcosa dell’empatia di cui si è goduto. “Noi non facciamo parte del drink business”, afferma Stanislav, “noi facciamo parte del people business”, ed è una differenza fondamentale.

Pochi brand potrebbero dare importanza a questi concetti come Nikka Whisky, che a partire dalla sua stessa storia ci racconta l’importanza dello scambio umano. E del resto, come avrebbe potuto il fondatore di Nikka – e padre del whisky giapponese – Masataka Taketsuru a farsi dire tutti i segreti dell’arte della distillazione una volta arrivato in Scozia, solo in un paese straniero, se non avesse utilizzato le proprie doti umane? Curiosità, empatia, rispetto per il lavoro: Nikka rappresenta davvero una storia di esseri umani.

Il Nikka Perfect Serve, del resto, non è un concorso come tutti gli altri. I giudici vogliono vedere non solo unicità, conoscenza del brand e tecniche, ma anche e soprattutto l’essenza più profonda dell’ospitalità; i concorrenti sono concentrati sui desideri dell’ospite, non sul loro ego, e devono anche divertirsi, usando questa gara come un’opportunità per riflettere meglio sul proprio mestiere, per conoscersi meglio e anche per migliorare come esseri umani.

Durante il Nikka Perfect Serve di quest’anno i/le concorrenti avranno quindici minuti di tempo per preparare due cocktail improvvisando a seconda delle esigenze di due dei giudici, mentre un terzo giudice chiederà un whisky, da scegliere tra Yoichi o Miyagikyo e da servire a seconda della richiesta. 

Per l’Italia, la finale nazionale si svolgerà a Milano il 24 ottobre. Per la prima volta nella storia del Nikka Perfect Serve, la finale mondiale si svolgerà a Napoli a fine novembre. Le iscrizioni italiane per i/le bartender chiudono il 21 settembre.

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