Dietro le quinte con Chartreuse
Un’ intervista a Philippe Rochez, responsabile dei mercati esteri per Chartreuse, per scoprire il leggendario liquore dalla ricetta segreta e dalle proprietà medicinali, prodotto esclusivamente e artigianalmente dai monaci certosini dell’omonimo monastero d’oltralpe.
Ciao Philippe, per cominciare ci dici da quanto tempo lavori in Chartreuse?
L’avventura è iniziata il 18 dicembre del 1988, quando mi chiesero di occuparmi del mercato italiano e di far partire la distribuzione nel vostro Paese. A quell’epoca collaboravamo con la Soffiantino, sempre lì a Genova. Iniziò tutto con una prova di sei mesi. Ora sono diventati più di trent’anni.
Con la parola Chartreuse che cosa identifichiamo esattamente?
Il nome Chertreuse è quello dell’omonimo massiccio delle Prealpi della Chartreuse, una parte delle Prealpi di Savoia in Francia. Si trovano per la maggior parte nel dipartimento dell'Isère, e in parte in quello della Savoia. Sono questi massicci che hanno dato il nome al monastero della Grande Chartreuse, fondato dai monaci certosini nel 1084.
Parlaci dell’arrivo del manoscritto…
È un fatto storico interessantissimo, che risale al lontano 1605, quando già esisteva da sei secoli l’ordine del monaci certosini, che come si sa hanno sempre cercato di sopravvivere con il lavoro, impegnandosi in attività diverse, come il lavoro del legno o la produzione del ferro. Oltre a queste attività, nei loro monasteri erano sempre impegnati a cercare piante e fiori per curare le persone. E fu appunto nel 1605 che il duca François Hannibal d'Estrées consegnò ai Padri Chartreux della Certosa di Vauvert a Parigi un manoscritto misterioso – nel senso che non se ne conoscono le vere origini – che conteneva questa ricetta, ovvero una lista di 130 tipi di erbe, fiori, spezie. Era la ricetta per un “elisir di lunga vita”.
Che genere di erbe?
Le più diverse. Bisogna capire che in quell’epoca la via delle spezie con l’India era aperta, e anche i viaggi con le Americhe erano frequenti, e dunque si aveva accesso anche a delle materie prime che non c’erano in Europa. Quella del manoscritto era una ricetta che partiva da una idea curativa, cioè con proprietà medicinali. A partire dalla sua prima realizzazione – che fu fatta a Parigi, appunto nel 1605 – la ricetta è stata modificata e adattata dagli stessi monaci, per amplificarne le proprietà. E così nel 1764 è nato l’Elixir Vegetal de la Grande Chartreuse. Dopodiché da lì sono derivate le diverse versioni di liquore, che sono principalmente la Chartreuse la Verde e la Chartreuse Gialla, sempre basate sulla ricetta del manoscritto, dunque entrambe con gli stessi 130 tipi di erbe, ma con dosaggi e processi di lavorazione diversi. l’Elixir ha una sola distillazione, con differenti processi di estrazione e macerazione, ma nessun invecchiamento e nessun impiego della chimica. La Verde e la Gialla invece sono anche invecchiate.
È un prodotto importante, quindi…
Sì, l’Elixir è un prodotto essenziale per i monaci. Viene davvero utilizzato anche per il suo aspetto medicinale, che è effettivo. Regola il metabolismo e viene utilizzato anche per tisane e altre preparazioni. Non è difficile immaginare che col tempo verrà ancora utilizzato per altre lavorazioni nuove.
Invece Chartreuse Verde e Gialla?
Chartreuse Verde è sempre fatta con 130 tipi di erbe, ma ha un taglio del gusto più vegetale, più amaro. La Gialla, anche lei con lo stesso numero di erbe, punta invece su un gusto più dolce, più mediterraneo se vogliamo, e ha una gradazione alcolica leggermente inferiore. E come dicevo, in questi casi c’è anche un processo di invecchiamento. Parliamo sempre di liquori che, con le loro diverse lavorazioni, sono comunque creati dalla sapienza secolare dei monaci, cioè ogni aspetto della lavorazione, incluso l’invecchiamento, è frutto di una tradizione antica dei certosini. Ogni prodotto è quindi totalmente artigianale, fatto letteralmente a mano, a partire dalla miscelazione delle erbe, che viene fatta in questa bellissima e profumatissima stanza, mai cambiata in 400 anni. Le erbe vengono poi portate dal monastero alla distilleria, dove cominciano le diverse distillazioni, macerazioni e infusioni.
Il processo è davvero importante…
Fondamentale, anche perché vale la pena sottolineare che il marchio appartiene ai monaci, e dunque tutta la lavorazione, come anche la vendita, sono gestiti e pianificati da loro. È un modello economico molto raro nel mercato internazionale.
Parliamo degli zuccheri, del miele, del legno usati…
Ogni processo di lavorazione rimane ancora oggi segreto. Cioè nessuno all’infuori del monaci conosce esattamente i dettagli. Quello che sappiamo noi è che alla fine dell’assemblaggio viene aggiunto lo zucchero di canna liquido. I monaci usano una tonnellata di erbe secche per produrre 42.000 litri di liquore. Quello che va in invecchiamento viene messo in fusti da 50.000 litri di rovere. Il legno viene dalla foresta di Tronçais, nel nordest della Francia, ed è lo stesso usato anche nel metodo Chardonnay. Nel caso della Chartreuse, viene utilizzato perché permette la perfetta ossigenazione nel lento invecchiamento. Poi il liquido viene spostato in fusti da 25.000 litri, poi da 12.500, in riduzione progressiva.
Una cosa che colpisce dell’azienda è la straordinaria accoglienza…
Penso faccia parte della filosofia dei monaci, che mettono l’essere umano al centro di tutto. Anche noi abbiamo un legame con loro unico, che dà senso anche al nostro lavoro, e dà un valore alla nostra comunità. È un’azienda molto piccola, di nicchia, perché facciamo solo un milione e mezzo di bottiglie l’anno, con un giro d’affari intorno ai 20 milioni. Dunque una piccola azienda, a fronte della sua fama. Ma anche questa è una scelta dei monaci, naturalmente.
Ultimamente sono nate delle cuvée speciali. Ce ne parli?
Nella storia della Chartreuse, i monaci hanno avuto la possibilità di fare diverse varianti basate sul medesimo metodo di lavorazione. Per questo sono nate diverse cuvée, la prima è stata la Vep, nata nel 1963, con la quale i monaci hanno voluto offrire al mercato una espressione di Chartreuse più invecchiata, in fusti di rovere più piccoli. Si parla di invecchiamenti di 8-10 anni (non si sa di preciso) in fusti da 600 litri. Un prodotto davvero straordinario e unico, perché non c’è un altro distillato di erbe invecchiato così, sul mercato. Dopodiché hanno creato diversi liquori per commemorare vari eventi storici della Chartreuse, come ovviamente il 9e Centenaire, a 47 gradi, con un assemblaggio di 20 profili di liquori, che è stato creato nel 1984 per commemorare i 900 anni della storia dell’ordine monastico. Poi c’è la Mof, nata nel 2008, su base Gialla, ma ben diversa dalla Gialla normale. Poi, tra le altre, vale la pena ricordare la Reine, ovvero la Regina di Liquori: una edizione estremamente limitata, creata da un assemblaggio di vecchie Chartreuse. La Regina di Liquori celebra la Vecchia Gialla a 43% di inizio secolo, con un packaging che cambia ogni anno…
Grazie Philippe. Chiudiamo con la citazione della frase in latino che si vede sulle etichette. Ci dici cosa recita?
Stat Crux Dum Volvitur Orbis. La croce resta stabile quando il mondo gira. È l’immagine giusta per rappresentare il lavoro dei certosini. Infatti è l’emblema dell’ordine certosino: una croce che sormonta il globo terrestre. Simboleggia la fermezza, la stabilità dell’Ordine nel continuo agitarsi degli uomini e della storia che cambia.