Chichibu, come nasce un mito


12 novembre 2021

La grande corsa del whisky giapponese

Sono passati già 20 anni da quando il mondo si è accorto che il whisky giapponese aveva fascino e qualità che non erano secondi a nessuno. In realtà la storia di questo distillato si appresta a compiere un secolo, visto che già nel 1923 un giovanissimo Masataka Taketsuru di ritorno dalla Scozia avviò assieme a Shinjiro Tori la Yamazaki Distillery, prima distilleria di whisky del Sol Levante. E tuttavia prima del fatidico 2001 il whisky giapponese ha percorso tra alti e bassi una strada tutta interna all’isola, facendosi largo tra le abitudini dei suoi abitanti ad esempio con il Mizuwari, bavanda a base di whisky, acqua fresca e ghiaccio che accompagna aperitivi e pasti, e vedendo fin dagli anni 60 la nascita di decine di whisky bar nei centri urbani.  

E poi è arrivata la svolta, tra l’altro proprio in un momento in cui i consumi interni calavano da anni. Succede infatti che Yoichi 10 anni vince il premio come ‘Best of the Best’ ai prestigiosi Whisky Magazine Awards, portando tutto il movimento alla ribalta. Due anni dopo Hibiki 30 anni e Yamazaki 12 anni si aggiudicano due Gold Medals all’International Spirits Challenge: è l’inizio di una cavalcata che ha cambiato in profondità il settore e che ancora oggi pare non possa incontrare mai ostacoli. 

I grandi gruppi, Nikka e Suntory in testa, si sono attrezzati per far fronte al boom, espandendo la produzione, acquisendo distillerie all’estero e rivedendo le ricette dei whisky, abbassandone l’età media, dato che la domanda per certi imbottigliamenti supera di gran lunga l’offerta che le distillerie possono mettere in campo senza prosciugare le cantine. Per ora fortunatamente la qualità media non sembra averne risentito.

Anzi, questa scossa non ha portato solo a un assestamento del mercato di massa, ma ha determinato la nascita di una nicchia, abitata da nuove e piccole realtà spesso familiari e artigianali. Un movimento che giocoforza ha enfatizzato il retroterra culturale che bene o male ha sempre contraddistinto le distillerie giapponesi di whisky, ovvero sia l’attenzione maniacale ai dettagli, alla conservazione di metodi produttivi tradizionali, ormai abbandonati persino in quella Scozia patria indiscussa del whisky. Potremmo dire che la via giapponese al whisky - sia che si parli di Single Malt o del più popolare Blended- ha la ricerca della qualità e dell’armonia come stelle polari, una tensione alla perfezione che ritroviamo del resto in tanti aspetti della società nipponica. 

È quindi in questo contesto che Ichiro Akuto fonda nel 2004 la Chichibu Distillery, nell’omonima cittadina della Prefettura di Saitama. Ichiro si è formato alla Hanyu, distilleria di proprietà del nonno Isouji Akuto che l’aveva fondata nel 1941. Ichiro ne ha vissuto da dipendente la triste fine, in quell’anno 2000 che è considerato il “whisky loch giapponese”, alla pari del 1983 in Scozia, quando molte distillerie chiusero per via della scarsa domanda. In Giappone all’alba del nuovo millennio spengono gli alambicchi anche Karuizawa e Kawasaki, ma Ichiro riparte proprio dai resti delle distillerie defunte, acquista a buon mercato barili di Hanyu e Kawasaki che garantiranno solidità finanziaria al progetto e inizia a concepire il sogno visionario di una micro distilleria di whisky, con una produzione annua microscopica intorno agli 80 mila litri ma dove ogni cosa rimanga sotto ai suoi attenti occhi. E così a Chichibu l’artigianalità sta in ogni dettaglio, a partire dal numero di persone impiegate: Ichiro in persona è orgoglioso di far sapere che in distilleria “abbiamo 27 persone impiegate full-time e una dozzina part-time, per un totale di circa quaranta persone”. Inoltre nell’ottica del coinvolgimento totale delle maestranze “la maggior parte dello staff ha cominciato nella produzione, e poi ha cambiato varie mansioni da allora”, dice sempre Ichiro. 

Il mashing è fatto a mano con l’aiuto di mestoli, le fermentazioni arrivano a 100 ore, il cuore di ogni distillazione viene addirittura assaggiato dal vivo: Ichiro si occupa sempre di assaggiare ma non è il solo, poiché anche altre persone dello staff effettuano questo controllo. Inoltre una piccola squadra di mastri bottai lavora per mantenere molto alta la qualità del parco botti, che finiscono a invecchiare in 3 dunnage warehouse tradizionali da 1500 botti di capienza ciascuna. 

Il resto della storia è noto a chiunque in questi ultimi anni si sia interessato al whisky giapponese. I Single Malt di Chichibu riscuotono da subito un successo incredibile, in un primo momento in patria dove la sete dei whisky bar assorbe gran parte delle uscite, per forza di cosa limitate a poche migliaia di bottiglie. A stretto giro poi arriva la consacrazione mondiale, circa il 30% della produzione annua viene destinata all’export e i whisky di Chichibu diventano rapidamente un oggetto di culto presso gli appassionati di whisky. Se nel mercato secondario delle aste da cinque anni a questa parte l’esplosione delle quotazioni di distillerie chiuse come Hanyu e Karuizawa è tutto sommato comprensibile, e ricalca in qualche modo il destino di analoghe realtà scozzesi come Port Ellen e Brora, rimane invece sorprendente la curva in continua ascesa che i malti di Chichibu stanno disegnando. In parte c’entrano meccanismi speculativi che nulla hanno a che vedere con le caratteristiche di questi splendidi whisky, però tanti sono i fattori che stanno alla base di questo boom clamoroso. 

Nelle prossime righe proveremo quindi a capire cosa si nasconde dietro alla Chichibu mania.

Clima e botti: la maturazione accelerata

La cittadina di Chichibu, a circa 90 chilometri a ovest da Tokyo, vive estati afose e inverni freddi. Così temperature massime sostenute e alta escursione termica, che dilata e stressa le botti di rovere, provocano un invecchiamento accelerato con un Angel Share - la quota di alcol e acqua che evapora- pari al 3-4% annuo, quasi il doppio rispetto a quello scozzese. L’effetto principale è una maturazione accelerata, che rende possibile apprezzare grandi elementi di complessità anche in Single Malt di soli 3 anni. Secondo Salvatore Mannino, grande esperto di whisky giapponese e colonna portante de La Maison du Whisky, quando dieci anni fa Ichiro girava il mondo facendo assaggiare alla cieca campioni di whisky giovanissimi, tutti rimanevano stupiti per la maturità e l’armonia dei suoi liquidi: “Ora c’è tanto hype e tutto sale, ma loro sono usciti in un mercato diverso, dieci anni fa, con un whisky stupendo per la qualità dei suoi tre anni. La prima cosa da dire è che è un prodotto eccezionale”; a volte nemmeno si trattava di whisky, poiché l’invecchiamento era inferiore ai tre anni. Per Salvatore è così che Chichibu ha posto le basi della sua crescita incredibile: realizzare un distillato di grande struttura, anche grazie ad alambicchi tozzi dal collo corto e lyne arm discendenti, valorizzato poi da un processo di invecchiamento sostenuto. Una dinamica questa che è evidente in molti single cask di soli 4 o 5 anni, che raggiungono quotazioni stellari. Lo stesso Chichibu The First vede quotazioni in costante crescita, nonostante sia un whisky di appena 3 anni.   

Il pavimento di maltazione

È sicuramente un elemento di grande fascino concepire una distilleria nuova che sia dotata di un pavimento di maltazione e di un forno tradizionali, elementi largamente in disuso un po’ ovunque. A Chichibu dal 2015 il 15-20% dell’orzo è maltato internamente e questo particolare tipo di lavorazione viene riservato al solo cereale locale. Le varietà prevalenti, Myogi Nijyo e Sai-no-hoshi, sono originarie della prefettura di Saitama. Il resto del malto proviene da Inghilterra, Scozia e Germania. In particolare Ichiro ha perfezionato le sue conoscenze in fatto di floor malting in vari siti, da Simpson's Malt, che gli ha fornito il malto fino al 2016, e dall’attuale fornitore Crisp Malting Group. Ma se Chichibu ha iniziato a maltare in loco solo dal 2015, da dove proveniva la materia prima utilizzata per il primo “Floor Malted”, distillato nel 2009 e imbottigliato nel 2012? Secondo Salvatore Mannino all’epoca la distilleria era legata alla England's Malt Stars di Warminster, stabilimento che lavorava “sotto specifica di Ichiro”. Il mercato delle aste sembra valorizzare i metodi tradizionali evocati in etichetta e una bottiglia come Chichibu The Floor Malted, prodotta in 8000 esemplari, ha visto crescere il suo valore in maniera importante, come il grafico qui sotto evidenzia bene. Tuttavia la crescita negli anni è abbastanza contenuta, come se gli appassionati stessero ancora aspettando di poter mettere le mani su un vero Chichibu realizzato a partire da solo orzo maltato in distilleria.

Chichibu

Il legno Mizunara

I due legni di rovere più utilizzati per invecchiare vini e distillati sono la Quercus Alba e la Quercus Robur, rispettivamente diffuse in America Settentrionale ed Europa. Un terzo tipo è la Quercus Crispula, nota come Mizunara in Giappone e utilizzata nel settore dell’arredamento, che però ha caratteristiche non propriamente funzionali per l’invecchiamento dei distillati. Si tratta infatti di un legno molto nodoso, di difficile lavorazione e facilmente soggetto a spaccature e conseguenti perdite di liquido. Ichiro Akuto però sembra tenere particolarmente a questo elemento di territorialità: ha fatto piantare alcuni esemplari nei pressi della distilleria (anche se verosimilmente non vedrà mai i frutti del suo lavoro), ma soprattutto compra alle aste costosi lotti di Mizunara e ha allestito un piccolo cooperage interno alla distilleria per la creazione da zero di queste botti: “A oggi abbiamo quattro persone che lavorano alla produzione delle botti. I nostri bottai non producono soltanto botti Mizunara, ma selezionano anche legnami alle aste che si svolgono nel Giappone settentrionale. Normalmente producono botti interamente Mizunara da 250 litri, ma anche teste di botte in Mizunara. Lavorano per proteggere il legno e migliorarne la resa, e riparano anche le botti. Acquistare botti in rovere bianco non è complicato come per le botti Mizunara, per cui produciamo solo queste ultime”, rivela Ichiro. A sovrintendere il cooperage è Mitsuo Saito, ex master cooper della Maruesu Cooperage. Gli 8 washback e uno dei tini per il marriage finale dei whisky sono proprio in legno Mizunara e, lungi dall’essere solo un vezzo di marketing, Ichiro ritiene che la particolare flora batterica che questo legno attira sia ideale per lo sviluppo di un determinato profilo organolettico. I pochissimi imbottigliamenti che recano la scritta Mizunara in etichetta vedono un interesse enorme da parte del mercato, con quotazioni che facilmente raddoppiano il loro valore in poco tempo, come questo single cask realizzato per Number One Drinks.

Le botti: sperimentare paga?

Ancora prima dell’inizio della distillazione a Chichibu, Ichiro Akuto ha intessuto una fitta di relazioni umane che rappresentano un grande valore aggiunto per la sua creatura. È andato a trovare personalmente produttori di Bourbon negli Stati Uniti e produttori di vino sparsi per il mondo, acquisendo know how e soprattutto acquistando tante botti differenti tra loro. Un esempio perfetto di questo approccio creativo sono le collaborazioni avviate con birrifici artigianali giapponesi, che oggi permettono a Chichibu di imbottigliare single cask ex Ipa o ex Imperial Stout davvero sorprendenti.

Allo stato attuale metà delle botti in invecchiamento sono ex Bourbon (principalmente Heaven Hill), ma la sperimentazione è sicuramente un pilastro della filosofia produttiva e nelle warehouse riposano molte botti di ex vino rosso e bianco secchi, vini fortificati come Madeira e Marsala, Cognac e Rum. Infine il cooperage interno sforna botti cosidette Chibidaru, ottenute riducendo a soli 130 litri la capienza di ex Bourbon barrel da 200 litri e accelerando così il processo d’invecchiamento. Per quanto i risultati degli esperimenti siano spesso seducenti, il mercato secondario non sembra però credere fino in fondo alla valorizzazione degli sforzi fatti da Ichiro per diversificare lo stile di Chichibu. L’imbottigliamento ufficiale in botti ex Ipa, imbottigliato nel 2017 in 6700 esemplari, ha quotazioni stazionarie; a titolo di esempio è utile citare un single cask 2012 che aveva contenuto Pinot Nero, soggetto a oscillazioni al ribasso. 

Il rapporto con gli Indie Bottler

Nel 2019 a fianco della prima distilleria è stata aperta Chichibu 2, che promette di quintuplicare la capacità produttiva. Ichiro rivela che “il 2021 è il primo anno in cui riusciremo ad assaggiare il whisky e tuttavia non abbiamo ancora deciso se mettere in commercio l’edizione 3 Y.O. nel 2022 oppure no. Ci auguriamo che avvenga tra il 2022 e il 2023”. In ogni caso l’installazione di alambicchi a fuoco diretto ha tolto ogni dubbio sul fatto che Ichiro continuerà a fare cose straordinarie, però intanto ci si domanda se questo nuovo whisky darà origine a un altro marchio di Single Malt o se contribuirà a  rendere più solida la produzione del Blended Whisky Ichiro’s Malt & Grain. Fino ad ora i soli 80 mila litri annui non hanno permesso lo sviluppo di un vero e proprio core range e solo quest’anno è uscito un primo dieci anni. Di fatto dunque gli imbottigliamenti ufficiali sono delle edizioni limitate di massimo 8000 bottiglie e l’orientamento negli anni è stato sempre più quello di imbottigliare single cask. A stupire in ogni caso è il fatto che in oltre dieci anni le uscite di imbottigliatori indipendenti siano state solo 23, un numero che denota una grande protezione del parco botti. A livello commerciale queste scelte sono state sicuramente vincenti, rafforzando l’idea di esclusività di un whisky autenticamente artigianale e quindi per sua natura limitato nelle quantità. Sono infatti alcuni single cask venduti all’estero ad aver raggiunto le quotazioni più sbalorditive. Un esempio perfetto è la Intergalactic Series, l’ultimo oggetto del desiderio per chi è rimasto contagiato dalla Chichibu mania.

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