Waterford Distillery


di Claudio Riva 27 agosto 2021

A cinque anni dalla sua ultima visita, Claudio Riva torna in Irlanda per un tour delle distillerie e ci racconta un panorama del whisky completamente rinnovato, mentre l’interesse da parte del mercato continua a crescere.

La storia dell’Irish Whiskey, il XX secolo e il triste declino

Dal punto di vista storico, andrebbe anzitutto assegnato all’Irlanda il primato di aver ospitato le prime distillazioni di cereali.
A confermarlo ci sono diversi dati:  

  • Nel manoscritto medievale Red Book of Ossory (Kilkenny, 1324) – dove il vescovo Richard de Ledrede raccoglie in 79 pergamene una serie di documenti di varia natura, da quelli legislativi e amministrativi a testi di canzoni – è presente un trattato sull’acquavite (“aqua vitae”, ovvero “uisce beatha”) e sui suoi usi medicinali: è la prima ricetta per la distillazione conosciuta; 
  • La distilleria Bushmills, in Irlanda del Nord, vanta in etichetta come data di fondazione il 1608, anno in realtà non attribuibile alla nascita della distilleria, ma al primo rilascio di una licenza di distillazione in quell’area della contea di Antrim, a testimonianza della tradizione di lunga data.
  • C’è poi un vecchio documento datato 1494 che racconta l’acquisto di “Otto bolls di malto per Frate John Cor per la produzione di aqua vitae”. Se consideriamo che la più antica licenza di distillazione rilasciata in Scozia è quella di Glenturret (1775), possiamo dire che i più famosi cugini scozzesi sono arrivati con un ritardo di almeno 280 anni, rispetto agli irlandesi. 

L’Irlanda ha poi anche il primato tecnologico di aver registrato il primo brevetto di alambicco a colonna, il Coffey Still (Aeneas Coffey, 1830), e di avere così traghettato la distillazione verso la modernità.
Alfred Barnard nel suo libro The Whisky Distilleries of the United Kingdom racconta di aver visitato tra il 1885 e il 1887 ben 162 distillerie, 129 in Scozia e 29 in Irlanda, ma che due terzi del whisky venduto a Londra in quel periodo era Irish.

Poi la storia ha preso una piega diversa. L’Irlanda, dopo aver ospitato nel XIX secolo la più grande produzione mondiale di whisky (1878, Dublin Whiskey Peak), all’inizio del XX secolo ha iniziato a perdere quote di mercato, per poi giungere alla grande crisi degli anni ’60, con la chiusura di tutti gli impianti e il trasferimento dell’intera produzione di whisky dell’isola in un’unica grande distilleria a Midleton (1973-1975, contea di Cork).
Si era così giunti, un secolo dopo il grande boom, al quasi annientamento della produzione del whisky più storico e tradizionale del pianeta. Almeno fino alla fine del XX secolo, quando alle sole due distillerie rimaste attive (la New Midleton e la Bushmills) si aggiunge una terza, la Cooley Distillery di John Teeling (1987), e si inverte finalmente il trend.

Le ragioni del declino dell'Irish Whiskey

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L’utilizzo del Coffey still per la produzione del più economico blended whisky non si è mai diffuso in Irlanda. E chi ne ha maggiormente beneficiato sono stati gli scozzesi, che già nel decennio 1850-1860 registravano il boom di produzione del loro blended scotch. Gli irlandesi consideravano la distillazione a colonna – che loro stessi avevano inventato – responsabile della produzione di un distillato di classe inferiore, che non avrebbe neppure dovuto essere chiamato whisky. Lo chiamavano spirito “silente”, senza aromi. È del 1908, con l’Irlanda ancora nel Regno Unito, la costituzione di una Commissione Reale che concluse i suoi lavori affermando l’“impossibilità di raccomandare che l’uso della parola whisky dovesse essere ristretto al solo spirito prodotto con pot still”. Qui inizia la crisi dell’Irish Whiskey, crisi acuita nel gennaio 1919, quando i repubblicani d'Irlanda proclamarono l'indipendenza del paese dalla Gran Bretagna. Quello che era il principale mercato per l’Irish Whisky, ovvero Londra, era perso. Si dovevano cercare altre strade. Gli assetati Stati Uniti avrebbero avuto tutte le carte in regola per garantire un futuro florido al business irlandese, ma purtroppo il Proibizionismo (1920-1933), la Grande Depressione (1929) e l’interruzione dei commerci transoceanici durante la Seconda Guerra Mondiale (1939-1945) portarono a un risultato disastroso. L’Irish Whiskey riuscì a trascinarsi sino al primo dopoguerra per poi dover comunque soccombere durante gli anni ’60, e permettere così al più vigoroso Scotch Whisky di conquistare il mercato mondiale.

Irish whiskey: un panorama completamente rinnovato in un solo decennio

Il terzo millennio ha portato l’intero pianeta verso un considerevole incremento delle distillerie fumanti, e l’Irlanda non è rimasta a guardare, complici sia la favorevole tassazione irlandese che la Brexit, che ha spostato molti investimenti al di fuori della Scozia.
Ricordo gli articoli che uscivano attorno al 2010-2012 e che parlavano di un futuro roseo per l’Irish Whiskey, ma oggi possiamo dire che i fatti hanno ampiamente superato ogni previsione. Oggi in Irlanda si contano circa 40 distillerie attive, anche se molte nate dopo il 2016-2017 e quindi non ancora in grado di rilasciare il proprio whiskey. 

La mia ultima visita in Irlanda risaliva appunto al 2016, quindi un aggiornamento sull’Irish Whiskey diventava prioritario sulla mia agenda, soprattutto dopo un anno e mezzo di lockdown speso davanti a una webcam.Il 19 luglio l’Irlanda ha riaperto al turismo, e così il 21 luglio ci siamo approdati per un tour di due settimane, che ci ha fatto toccare una decina tra le nuove distillerie. 

Claudio RivaAvendo visitato le nuove micro distillerie americane, molte nate con l’animo punk da homebrewer, non potevo che ammirare l’approccio più solido di tutti i nuovi progetti irlandesi.
Molte distillerie hanno alle spalle investimenti di decine di milioni di euro, tutte rivendicano di avere riportato per prime l’arte della distillazione nella loro contea, di voler interpretare al meglio il territorio e di essere mosse dallo spirito di un antenato che lì distillava whisky 4 generazioni fa (intendiamoci, ogni irlandese ha un nonno che distillava!). Ma, giustamente, sono mosse anche da un sano spirito di business e riescono a sfruttare al meglio le moderne tecniche di marketing.

Tutte tranne una, peraltro con animo non irlandese: Waterford

La produzione mondiale di Whisky

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Waterford. Un nuovo concetto, una nuova parola: il “téIREoir”

Bisogna giungere nella città di Waterford, lungo le sponde del fiume Suir, per scovare l’omonima Waterford Distillery.
Il primo impatto è destabilizzante: dopo aver letto di una distilleria con un animo “agricolo”, ci si trova di fronte a un grande complesso industriale, che è stato uno degli impianti Diageo di produzione della Guinness, completamente ristrutturato nel 2003 e chiuso dopo soli dieci anni, nel 2013.

Artefice della conversione di questo impianto in una distilleria è Mark Reynier, l’uomo responsabile della rinascita della distilleria scozzese di Bruichladdich (Islay) e del trend moderno del distillato legato al territorio: un’interpretazione quasi “enologica”.
Incassati i soldi della vendita di Bruichladdich al gruppo Remy Cointreau, ma soprattutto grazie all’esperienza fatta in 15 anni di attività presso la distilleria scozzese, Mark era pronto per il grande passo nella vicina Irlanda. 

Il concetto che sta alla base del suo progetto imprenditoriale è di una semplicità disarmante: produrre un whisky orientato alle materie prime e guidato dal concetto di terroir; e quindi imbottigliamenti Single Farm, derivanti da singole aziende agricole irlandesi, ognuna in grado – per cultura, per terreno e per clima – di produrre un orzo con caratteristiche uniche.
Da qui il gioco di parole tra la parola “terroir” e la sigla irlandese “IRE”, ovvero il termine “téIREoir”, che è una sintesi perfetta per dare l’idea. 

La distilleria non è normalmente aperta alle visite, ma il simpaticissimo Ian O’Brien ci accompagna in un tour che è un crescendo inarrestabile di emozioni.
Gli impianti del vecchio birrificio, pre-lavori del 2003, aggiungono alla visita un fascino archeologico. Ma la parte più sorprendente è quella effettivamente produttiva. Tutto dei nuovi impianti ex Diageo è stato ovviamente conservato, è stata semplicemente aggiunta una coppia di alambicchi. 

Ma può una distilleria con un animo così dichiaratamente agricolo appoggiarsi su un impianto completamente automatizzato, pilotato dai computer di una sala di controllo?
Scopriamolo insieme.

Il trend dell'Irish Whiskey

Con quasi 40 distillerie attive, molte altre in fase di progettazione, con un volume di produzione in costante crescita a doppia cifra, l’Irish Whiskey sembra poter tornare ai fasti di fine 1800. 

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Il principale mercato mondiale di consumo di whisky, gli Stati Uniti d’America, sta premiando lo sviluppo dell’Irish Whisky al punto che si prevede per il 2030 il sorpasso dell’Irish sullo Scotch.

Valorizzare il lavoro dei coltivatori irlandesi per creare whiskey unici

Le 97 farm che hanno aderito al progetto Waterford forniscono alla distilleria 3500 tonnellate di 12 varietà diverse di orzo coltivato su 19 tipi differenti di suolo. Ogni singolo raccolto viene maltato separatamente e giunge in distilleria.
Se un birrificio di tali dimensioni è stato costruito in questo luogo è perché qui c’è tanta acqua e di ottima qualità: da oltre 2 secoli un vecchio pozzo ai piedi della Summerhill fornisce acqua cristallina proveniente dalla falda acquifera vulcanica.

L’ammostamento sfrutta un imponente mash filter, una rarità nella produzione del single malt, ma ritenuto uno dei punti chiave dell’intero processo produttivo. Al malto macinato viene aggiunta acqua alla temperatura di 48°C, poi 65°C. Poi, per completare la conversione degli amidi, un ultimo passaggio a 68°C. La separazione della parte solida dal mosto liquido non avviene per gravità, ma sfrutta appunto il mash filter, una grande pressa che ha sì lo scopo di estrarre la maggior quantità possibile di liquido, ma che – per l’interpretazione di Mark – è anche un vero e proprio “estrattore di terroir”, riuscendo a evidenziare le differenze tra le varie provenienze. 

La fermentazione, con lievito distiller e a temperatura controllata, è allungata sino a toccare le 120 ore, contro le standard 48-72 ore, per poter beneficiare degli aromi prodotti durante la fermentazione secondaria malolattica.

Si effettua quindi non la classica tripla, ma una doppia distillazione, lenta e a bassa temperatura. 

Gli alambicchi originali che sono stati installati a Waterford nel 2015 hanno una lunga storia. In funzione presso la distilleria scozzese Inverleven sino al 1991, erano stati acquistati da Bruichladdich che poi non li aveva mai utilizzati, ma solo messi in bella mostra fuori dalla distilleria. (Chi è stato su Islay se li ricorda con un paio di stivali infilati nel collo.) Da lì sono giunti in Irlanda.
Con una vita così vissuta erano ormai segnati dal tempo, quindi sono stati sostituiti da una esatta copia, proprio durante le settimane precedenti la nostra visita. Gli alambicchi ex Inverleven sono così ritornati in giardino, per poter accogliere visitatori per i prossimi 100 anni. 

La distillazione distrugge realmente il territorio in un whiskey?

Si dirà: fin qui nulla di davvero travolgente. Tutti aspetti tecnici che possiamo ritrovare in altre distillerie, anche se non molte.
Ma l’apertura di una sola porta è stata in grado di fornirci la reale chiave di lettura del progetto Waterford. E non parlo di quella della warehouse, ma di una minuscola stanza in cui sono conservati tutti i campioni di tutte le distillazioni sinora effettuate, suddivisi per farm di provenienza e per tipo di terreno. 

Mentre il mondo si interrogava sulla reale importanza del terroir nella produzione del whisky o se questo fosse solo marketing, qui per sei anni si è costruita l’unica vera possibile risposta a questa domanda.
È facile dire: “il whisky della farm A è diverso da quello della farm B” quando hai poche botti dell’una e anche meno dell’altra. Ma oggi c’è una piccola sample room che contiene il più grande database classificato di new make spirit, non ancora influenzato dal legno, un database che desidera solo essere interrogato.
È quindi oggi possibile analizzare in laboratorio molteplici distillazioni provenienti dalla stessa farm. Oppure dalla stessa varietà di orzo coltivato su uno specifico terreno. E i primi risultati che Mark orgogliosamente mostra agli amici sono sorprendenti: rivelano una assoluta coerenza con le sue aspettative. 

È così che capisci che quello che uscirà da Waterford nei prossimi anni cambierà sicuramente il mondo del whisky. Ed è così che capisci quanto sia importante per Waterford limitare le variabili alle sole materie prime, impostando un processo di fermentazione e di distillazione che sia il più invariabile possibile.
È così che capisci di trovarti in un luogo dove si sta scrivendo la storia.
E mentre capisci tutto questo, loro stanno già distillando da anni orzo biologico e biodinamico.

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