Un viaggio negli orti naturali della Velier con Pierluigi Picasso


18 luglio 2023

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La nostra nuova rubrica è dedicata agli agricoltori, allevatori e pescatori che lavorano per fare in modo che ogni ospite della Velier possa mangiare in puro stile Triple A. Cominciamo con Pierluigi Picasso, ex docente dell’istituto agrario Marsano e grande esperto di varietà autoctone.

Pierluigi Picasso, per tutti il Professore, è una presenza amichevole e cordiale di Villa Nuovo Paradisetto, sempre pronto a condividere piccoli e grandi consigli e segreti per salvare le piante di casa o per dare sollievo alle punture di insetti.

“All’inizio del 2020 sono stato chiamato dalla Velier per dare qualche consiglio in amicizia su come impiantare nella villa un frutteto con le vecchie varietà del genovesato”, racconta il Professore. “A oggi la Velier è arrivata a una ventina di esemplari presenti in villa, ma nel tempo conta di arricchire la collezione, perché le varietà sono tante”.

Figlio di agricoltori, Pierluigi Picasso si definisce un po’ il ‘regista’ degli orti naturali della Velier, e nonostante nella sua vita abbia fatto moltissime cose non ama parlare di sé

“Io sono soprattutto un appassionato. Quello che mi fa alzare al mattino è il fatto di avere un progetto nella giornata, ed è ovvio che, se uno si occupa di tante cose, accresce il suo bagaglio di conoscenze. A volte mi viene chiesto di fare organizzazione, ma a me quello che piace è proprio fare le cose, potare io stesso, mettermi al fianco degli studenti, come ho sempre fatto al Marsano. Mi sono diplomato nel 1974 all’istituto professionale Massano e due anni dopo già insegnavo. All’epoca era tutto diverso: si tagliava l’erba col falcetto, un oggetto che oggi mostriamo agli studenti come un reperto storico. La manualità è però per me sempre centrale, perché noi siamo artigiani, e anche se oggi possiamo usare strumenti tecnologici che facilitano il lavoro, ci vorrà sempre l’artigianalità in questo mestiere. Ho partecipato a tutte le edizioni di Euroflora, esclusa quella inaugurale del 1966. Nella prima edizione ero studente, nell’ultima ero con gli studenti in veste di insegnante. Con gli studenti ho lavorato anche al ripristino dei parchi di Nervi dopo l’uragano del 2016, per 15 mesi. Ancora oggi mi emoziono quando salgo su un ulivo per potarlo."

Tra i suoi primi ricordi legati al mestiere ce n’è proprio uno legato al suo primo anno da studente:

Mi ricordo la prima talea che ho fatto: è stata di una pianta arido-resistente succulenta, una pianta grassa insomma, che cresce quasi spontanea sulla passeggiata di Nervi. Si chiama Carpobrotus Edulis, cioè il fico degli Ottentotti. Ero iscritto al primo anno del Marsano a Sant’Ilario, quindi parliamo del 1969, avevo 14 anni. All’epoca si usavano delle cassette di terracotta, e mi ricordo che presi queste e feci le mie prime talee”. 

L’istituto agrario Marsano, in cui il Professore ha insegnato per molti anni, ha cominciato fin dai primi anni Duemila a impegnarsi per salvare dall’estinzione delle varietà fruttifere locali che erano commercialmente introvabili, quasi estinte.

“È iniziato così un censimento, vale a dire un’opera di raccolta di gemme per poter fare degli innesti e creare delle nuove piante, cominciando dalla zona di Genova e del Tigullio”. 

L’istituto Marsano ha creato dunque un importante campo-catalogo, che comprende due esemplari per ogni varietà, e nel quale è possibile andare a prendere le marze, vale a dire le gemme, per poter fare gli innesti.

Quando comincia a parlare delle varietà di ciliegi, meli, peri, susini e albicocchi, il professore tira fuori dalla tasca un foglio sul quale ha scritto l’elenco con la sua calligrafia precisa, per essere sicuro di non dimenticarne nessuno.

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“Le varietà più o meno interessate sono quelle che da centinaia di anni sono coltivate qui da noi, in Val Bisagno, Val Polcevera, eccetera. Per la precisione, qui abbiamo piantato per esempio l’albicocco Lavagna, un albicocco tardivo chiamato Montoggio perché va in fioritura un po’ dopo il Lavagna, e un altro che si chiama Leivi. Poi abbiamo piantato il pero Madama e il pero Armella, propri della Val Bisagno. Altre varietà salvate dall’estinzione sono il pero Dell’Oro, il pero Limone e il pero Giardinetta”. 

Un frutto molto diffuso nel genovesato è il susino, del quale esistono molte varietà.

“A Genova la varietà più famosa è la Arselina, dalla quale si fa una marmellata unica, per cui abbiamo proprio cercato di moltiplicare questa. Ce n’è poi un altro tipo uguale, che però, invece di essere a polpa viola è a polpa gialla, e che si chiama Brignun, tipico della Val Bisagno. C’è poi il Buon Boccone (Bun Buccun), che esiste sia bianco che viola ed è più diffuso nella zona di Portofino (Recco, Camogli, Santa Margherita, Rapallo), dove è una vera e propria eccellenza. Altre specie di susine salvate sono poi Fiaschetta, Rapallina, San Lorenzo, Negrea e Regina Claudia verde. La susina San Giacomo, poi, abbiamo iniziato a innestarla pochi anni fa; non la conoscevamo mica, e ci è stata data da un agricoltore di Nervi”.

Anche i ciliegi comprendono molte varietà:

“I più diffusi sono del tipo Masina: pensate che tra le località di Bavari, Fontanesi e San Siro di Struppa una volta erano presenti migliaia di esemplari che adesso non ci sono più. La varietà Francese è simile, come la Masina matura nel mese di maggio, ed è diffusa sul Monte di Portofino e nel levante genovese. Abbiamo poi la Camoglina, e ci dice il nome stesso da dove proviene; il Graffione, che è un durone genovese; poi c’è la Ciappa, una varietà della zona di San Salvatore, Codorno, Carasco; e la Culla, che è una ciliegia dolcissima e tenerissima, a polpa chiara, chiamata così perché la si può dare anche ai bambini piccoli, dato che non fa venire il mal di pancia”. 

Il Professore elenca poi le varietà di meli più conosciute e diffuse, nomi dal sapore antico riportati in vita da saperi ancestrali: Cabelotta, Concalini, Limonina, Canelina, Ciatta, Tappa, Bianchetta, Pomella e Ruggine. 

Il lavoro di recupero del Marsano si è esteso anche agli ulivi:

“Il nostro patrimonio del genovesato era costituito dalle varietà Lavagnina, Rossese – la più resistente al freddo - e Pignua, che erano a rischio estinzione”.

Anche nell’orto della Velier sono presenti delle varietà locali:

“Per esempio c’è il pomodoro Tomata Porsemminn-a (Prezzemolina), che è proprio una nostra eccellenza genovese. Tristemente, il detto “l’orto vuole l’uomo morto” è sempre attuale, perché bisogna starci molto dietro… Ci vogliono tanto tempo e tanta pazienza”.

Uno dei punti fermi del Professore è ovviamente il non utilizzo di sostanze chimiche e diserbanti:

“Su queste vecchie varietà non si fanno trattamenti. Se uno mangia la mela col verme, quella parte lì si scarta e si mangia il resto, che invece è buonissimo”. 

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“Scoprire queste vecchie varietà è stata un po’ la scoperta dell’acqua calda”, prosegue Picasso, “perché appunto hanno dato da mangiare a generazioni. Ricordo che mio papà diceva sempre: chi vuol mangiare frutta pianti frutta, ed è proprio così. Bisogna stare sempre a piantare, in modo da avere sempre un rinnovamento dei soggetti”.

Persino in questo mestiere, ammette il Professore, ci possono essere dei lati negativi, ma sono compensati ampiamente dalla passione che spinge ad andare avanti.

“Una cosa brutta è non trovare persone appassionate; spesso si trasmettono cose che a chi ascolta non interessano. Il nostro è un mestiere in cui si prende un sacco di freddo in inverno e di caldo in estate, e inoltre una volta che hai imparato sta a te andare avanti. Più si lavora e più si impara. La pratica costante, il sapersi muovere in autonomia, si può fare tutto quando c’è la passione. Io anche quando vado all’estero vado in cerca di giardini, di vivai. Continuo a essere appassionato, anche se la mia parabola lavorativa sta finendo. Mi piace lavorare perché mi fa stare bene, mi svuota la testa. Soprattutto, a me piace fare, più di ogni altra cosa.”

Proviamo a chiedere al Professore se abbia delle piante preferite, tra le tante di cui si è occupato negli anni:

A me le piante piacciono tutte, infatti non le mollo, non permetto loro di non campare”, ride. “Forse tutto sommato quella che mi piace più di tutte è l’ulivo, da quando ero bambino e vedevo quelli dei miei genitori agricoltori. Nonostante poti da oltre cinquant’anni, quando salgo su un ulivo secolare mi emoziono sempre come se fosse la prima volta. A volte si potano degli esemplari secolari che sono straordinari: tempo fa una mia amica mi ha chiesto se potevo passare a potare alcuni suoi ulivi, ed erano degli esemplari di centocinquant’anni. Mi sono sentito davvero come se mi avessero assegnato il Nobel alla carriera, era proprio un regalo per me: erano piante bellissime, come delle sculture.”