Gargano Classification: come distinguere i grandi rum
La mia classificazione è nata da alcune riflessioni su come si é evoluto il consumo di rum in Italia dall’inizio degli anni ’90 ai primi dieci anni del XXI secolo.
L’Italia è stato il primo paese in Europa dove i ragazzi degli anni ’70 hanno vissuto la Movida del Rum dei primi anni ’90, nata con il boom di richieste di Cuba Libre con Havana 7, che divenne il long drink più consumato. Salendo su questa onda, Velier iniziò a importare rum all’epoca sconosciuti, provenienti da tutti i paesi caraibici, come Caribbean Club, Brugal, Barcelo, Barrilito, Santa Teresa, Matusalem, El Dorado, Bally. Poi, verso la fine anni ’90, si aggiunse anche la moda del Mojito, che spinse ulteriormente il rum a trasformarsi da cenerentola nel distillato più trendy.
Alla fine del secolo scorso, l’Italia era l’unico paese d’Europa dove si potevano trovare e consumare i rum provenienti da tutte le aree geografiche in cui vengono prodotti. Nel resto d’Europa, i consumi continuavano a essere legati alle abitudini storiche dei singoli paesi, prediligendo, i rum provenienti dalle isole che erano state un tempo inglesi, francesi o spagnole.
È stato solo a partire dal 2007-2008 che anche i consumi di rum in Europa hanno cominciato ad allargarsi oltre queste aree di tradizione storica. Ma, proprio mentre in Europa aumentava questo interesse verso altri rum, in Italia cominciava a scemare l’interesse per questo distillato.
A differenza di quello che era successo nel mondo del whisky – i cui consumatori avevano vissuto un’evoluzione, passando dai blended ai single malt, ai torbati e ai cask strength – per il rum non c’era stato niente di analogo.
Perché in Italia, che per prima aveva visto uno sviluppo nel consumo dei rum, l’interesse non si era evoluto, e anzi stava cominciando a decadere?
E poi: questo fenomeno, per cui l’Italia era stata pioniera, non poteva ripetersi in Europa? Non c’era cioè il rischio che l’interesse per il rum scemasse anche in Europa, così come era accaduto in Italia, una volta passata la moda?
Le risposte a queste domande cominciai a darle nel 2010, quando entrai in contatto e diventai amico di Charles Gordon, proprietario della William Grant’s, ottantenne nomade visionario, e pioniere della commercializzazione dei Pure Single Malt.
Infatti, era stato Charles che nel 1964 aveva imbottigliato per la prima volta Glenfiddich, che, sino ad allora, era stato – come tutti gli altri single malt – solo un ingrediente dei blended. Così facendo aveva creato la categoria dei single malt, distinguendola da quella dei blended.
Charles Gordon mi offrì uno spunto decisivo spiegandomi nel dettaglio l’origine della definizione “Pure Single Malt”: Pure perché è esclusivamente proveniente da distillazione discontinua; Single perché proviene solo da una distilleria, e quindi appunto non è un blend; Malt perché viene dall’orzo e non da altri cereali.
Evidentemente la caratteristica qualificante decisiva è che il Pure Single Malt è al 100% distillato nei Pot still, cioè in alambicchi discontinui.
È un prodotto artigianale e, anche se molti bevitori appassionati non identificano la provenienza da Pot still come elemento discriminante tra i blended e i Single Malt, tutti sanno comunque che Macallan è in una categoria diversa da un Ballantines o da un Johnnie Walker.
È stato così in queste notti passate a discutere con Charles sulla sua barca, la "Cindarella", che sono stato illuminato su qualcosa che era evidente, ma mai evidenziato: cioè che nel mondo del rum – escludendo la sola distinzione dei rum agricole, comunque fossero distillati – tutti i rum erano chiamati semplicemente “rum”, e questa mancanza di chiarezza non permetteva agli appassionati di orientarsi con facilità tra i distillati più industriali e quelli artigianali, e cioè prodotti invecchiati nel luogo di distillazione, degni di essere degustati come un grande single malt, un grande cognac, o un grande distillato in generale.
La Gargano Classification è dunque nata principalmente per distinguere i rum distillati artigianalmente – ricchi di sostanze anche non alcoliche – dai rum distillati invece “industrialmente”, che contengono prevalentemente etanolo.
Questa classificazione, che è relativa solo ai rum di distilleria, si basa sul metodo di distillazione, per alcuni motivi ben precisi.
In effetti, se si volessero classificare tutti i tipi di rum esistenti, le varianti sarebbero innumerevoli, perché occorrerebbe differenziarli in base alle materie prime, alle tecniche di fermentazione, a quelle di distillazione e a quelle di invecchiamento, con tutte le sottocategorie relative a queste quattro aree.
Ma tutte queste varianti passano in secondo piano rispetto alla distillazione, perché anche la miglior materia prima e la miglior tecnica di fermentazione vedrebbero annullate le loro qualità se poi la distillazione fosse di tipo industriale, dal momento che quest’ultima estrae principalmente etanolo, e porta quindi alla perdita di tutte le sostanze non alcoliche provenienti dalla pur eccellente materia prima e dal processo di fermentazione.

Rum distillato in multicolonna

Rum distillato in colonna creole

Rum distillato in alambicco
Cominciamo però proprio con il prendere in considerazione tutte le differenze, in modo da capire quante sottocategorie e quante variabili possibili ci sono nel mondo del rum.
Materia Prima
Le materie prime, e quindi naturalmente i terroir da cui provengono, sono il punto di partenza più importante in qualsiasi distillato. Per considerare le possibili differenze tra le materie prime nella produzione del rum, occorre però tener presente non solo le diverse varietà di canna da zucchero, ma anche il modo in cui vengono coltivate.
Le varietà di canna da zucchero
Attualmente esistono molte varietà ibride di canna da zucchero e ormai pochissime non ibridate.
Ibridazioni
L’ibridazione della canna da zucchero è diventata una pratica comune a partire dalla fine del XIX secolo. Gli ibridi nascono per incrocio con il preciso obiettivo di individuare le piante più resistenti alle malattie e alle condizioni climatiche, e più performanti nella produzione di zuccheri. È infatti da rilevare che queste canne sono state incrociate al fine di ottenere più zucchero possibile, e quindi non per la produzione di rum. È soltanto negli ultimi 50 anni che, nelle isole francesi della Martinica e della Guadalupa, si sono sviluppate delle canne atte alla produzione del rum e non dello zucchero.
Gli ibridi di maggior successo a fine ‘800 furono le varietà POJ 100, 247 B, EK 28. Tra il 1900 e il 1940, le canne destinate al rum più coltivate furono quelle delle varietà BH 10/12, B 147, B 47.259 e B 208, prodotte alle Barbados, e alcune varietà ottenute a Demerara, come la D 74, D 109, D 625 e D 1135. Tutte queste varietà vennero poi esportate alle Mauritius, in Louisiana, a Porto Rico, in Australia, a Reunion, Cuba, Giamaica.
Le canne vengono identificate con delle sigle che ne identificano le regioni di provenienza.
>> Scopri di più sulle stazioni di provenienza della canna da zucchero
Varietà ancestrali naturali
Fino al XIX secolo, la coltivazione della canna si è basata per secoli sulla semplice propagazione per talea di un numero limitato di varietà naturali.
Ai tempi odierni, pochissime sono le varietà nate dalla propagazione per talea di canne naturali provenienti Nuova Guinea, Indonesia, Sud-est asiatico o isole della Polinesia.
Una di esse è la varietà Créole, che ha assunto nomi diversi a seconda delle isole in cui è stata coltivata.
Introdotta nei Caraibi e in Sud America durante le conquiste europee del XVI e XVII secolo, questa varietà è stata l'unica forma di canna coltivata in questa regione del globo per due-quattro secoli, a seconda del paese considerato.
La canna Créole si sia sviluppata sino alla fine del ’700. Fu poi Bougainville nel 1768 ad introdurre a Réunion e Mauritius la varietà Tahiti (o Otaheite).
Differenze dovute ai metodi di coltivazione
Purtroppo negli ultimi cinquant’anni, per aumentare la produzione e ridurre i costi, la chimica è sbarcata anche nel mondo della canna da zucchero. Ad oggi alcuni produttori (vedi Neisson) stanno cercando di invertire questa rotta diminuendo l’impatto della chimica nella coltivazione della canna. C’è poi tutto quel mondo dove la chimica non è mai arrivata, un mondo che vede Haiti come capofila e che include diverse aree rurali dell’America del Sud, dell’Africa e dell’Asia, senza dimenticare Capo Verde.
Evidentemente, essendo la materia prima la base di tutto, un’agricoltura più sana e più pulita porta a una maggiore qualità del distillato. E questo ha forse più importanza delle differenti varietà che vengono utilizzate.
La materia prima per la distillazione
Un’altra differenziazione si ha in base alle materie grezze utilizzate per la produzione del rum, che può essere infatti distillato da:
Puro succo di canna, che deve essere fresco, cioè pressato e messo in fermentazione il più rapidamente possibile dal momento del taglio;
Jus cuit, vale a dire succo di canna concentrato (12/15%) con una tecnica usata comunemente fino a prima della seconda guerra mondiale. Oggi l’unico e ultimo esempio di distilleria che utilizza il jus cuit è River Antoine;
Sciroppo, ovvero un succo di canna ancora più concentrato (40 brix);
Melassa, ciò che rimane della canna da zucchero dopo la produzione dello zucchero, ancora ricco di zuccheri non cristallizzabili.
Nei primi tre casi il succo, più o meno concentrato che sia, è ottenuto da canne da zucchero usate prettamente per la produzione di rum. Nel caso della melassa, invece, trattandosi di una materia prima proveniente da canne usate per la produzione dello zucchero, abbiamo anche una differenza tra le varietà di canna. Infatti tutti i rum di melassa provengono da varietà studiate per produrre più zucchero e subire meno le malattie o le condizioni meteorologiche.
Fermentazione
I diversi tipi di fermentazione
Queste materie prime devono poi essere fermentate per trasformare gli alcol in zuccheri, ma anche per sviluppare tutte le caratteristiche intrinseche della materia prima in sostanze che poi saranno salvate nella distillazione creando rum differenti.
E anche qui abbiamo delle differenze. Infatti in fermentazione c’è la possibilità di aggiungere acqua o non aggiungerla; di fare fermentazioni naturali con i lieviti indigeni, oppure con i lieviti fatti in casa che possono essere usati come starter, oppure con i lieviti selezionati. In più, in fermentazione si può anche aggiungere il dunder (il mosto disalcolato della distillazione precedente). In alcune tecniche di fermentazione si aggiunge anche la bagasse (il resto legnoso della canna che rimane dopo la spremitura), o l’aceto di succo di canna da zucchero.
Ulteriori differenze si hanno in base ai tempi di fermentazione: oggi le fermentazioni più industriali sono di 18 ore, ma si può arrivare fino a 20 giorni e in alcuni casi oltre.
Per effettuare le fermentazioni rapide più industriali, si usano acidificanti, nutrients, anti schiuma…
Invecchiamento
Le differenze nell’invecchiamento
Una prima grande differenza a proposito dell’invecchiamento è quella tra tropical aging e continental aging. Nella nostra classificazione, però, prendiamo in considerazione soltanto i rum invecchiati in clima tropicale.
Questo anzitutto perché, come dicevamo, la classificazione considera soltanto i prodotti di distilleria chiaramente tracciabili, dei quali è possibile conoscere ogni stadio della lavorazione, cosa che con i rum invecchiati in clima continentali non sempre è possibile.
Dal momento poi che in clima continentale vi sono condizioni climatiche estremamente diverse rispetto ai luoghi di produzione, è fondamentale per l’autenticità e l'originalità che il rum venga invecchiato nello stesso clima di produzione, meglio ancora nella stessa distilleria.
Può essere comprensibile un tropical aging fuori dalla distilleria, ma evidentemente il distillery aging è preferibile. Lo abbiamo dimostrato mettendo in invecchiamento diversi barili di Neisson in punti diversi della medesima distilleria. Si è visto che lo stesso distillato, proveniente dallo stesso batch di canna da zucchero, dalla stessa fermentazione, invecchiato nello stesso tipo di barile, e perfino appunto nella stessa distilleria, ma in piccoli depositi distanti soltanto 50 metri l’uno dall’altro, per via della relazione tra temperatura media e umidità, produce dei rum molto diversi tra loro. Questo a ulteriore prova che il terroir crea differenze sostanziali.
Altra differenza che riguarda l’invecchiamento è data dal grado alcolico con cui il distillato entra nel barile. Il range va dal 55% sino allo still proof (grado di alambicco). Storicamente i rum erano invecchiati a still proof, quindi anche all’80/82%, perché all’epoca si puntava in particolare al risparmio di barili. Negli anni, la pratica più comune è stata di andare in barile al 66%. Esistono poi anche i casi anomali di rum che escono dall’alambicco a meno del 55% (come il Clairin).
Un' ulteriore differenza sono i tipi di contenitori, ovvero i tipi di legno dei barili, le loro dimensioni e le loro origini, se cioè sono barili nuovi o se hanno contenuto precedentemente altri distillati o vini.
I contenitori vanno dal barrique (200 litri), sino ai 15.000 litri dei contenitori australiani. Con i barili nuovi è possibile scegliere provenienza, tostatura, porosità del legno. Ma con i new barrels bisogna anche considerare lo spostamento dei liquidi, perché se il rum restasse nel barile nuovo per troppo tempo, il legno inciderebbe eccessivamente nell’invecchiamento. Bisogna quindi fare dei passaggi veloci, tenendo il rum bianco nel singolo barile per periodi sempre più lunghi, in modo da “abituare il legno”, e invecchiare gradualmente anche la botte stessa, sino a quando sarà pronta a invecchiarlo dall’inizio alla fine.
Tra i barili ex-spirits, storicamente i più usati sono quelli in rovere americano ex-bourbon, per due ragioni: da un lato la vicinanza degli USA, dall’altro la grande disponibilità a basso prezzo, dovuta al fatto che la legislazione del bourbon consentiva di adoperare i barili una volta sola. In seguito è aumentato l’uso del rovere francese (Allier, Tronçais), e in alcuni casi anche Slavonia o Acacia.
Oltre agli ex-bourbon abbiano anche barili ex-cognac, ex-calvados, ed ex-rum (di rum diversi da quello in invecchiamento). Per i barili ex-vino, si va dagli ex rosso, agli ex bianco, ma anche gli ex-vini liquorosi, come madera, marsala, e naturalmente lo sherry.
Al momento dell’imbottigliamento sopravvengono poi altre varianti. Il rum che è stato invecchiato in climi tropicali – e che quindi ha subito un’evoluzione e un invecchiamento molto diversi rispetto a quelli che avrebbe subito in clima continentale, perdendo, a seconda dei terroir, dal 6 al 12% di angel share ogni anno (!) –, può essere poi imbottigliato a gradazione piena, cioè cask strength – la gradazione che ha ottenuto dopo l’invecchiamento nel barile – oppure essere ridotto con aggiunta d’acqua sino a 38% vol.
distillazione
L’importanza centrale della distillazione
Come si vede, se si volessero differenziare i rum in base a tutte le varianti possibili (che ovviamente possono essere combinate tra loro in modi dissimili da ogni produttore), avremmo un numero enorme di sotto-definizioni, e sarebbe impossibile classificare tutti i tipi di rum esistenti in modo esaustivo. Ma, come dicevamo, tutte queste differenze verrebbero annullate nel caso di una distillazione non artigianale, che estraendo principalmente etanolo porterebbe a perdere la gran parte delle caratteristiche della materia prima che è stata fermentata.
Naturalmente, anche la distillazione è un fattore che può essere declinato in molti modi, ma l’apparato di distillazione è l’elemento più importante della differenza tra i distillati.
Per questo ho elaborato la mia classificazione dando importanza centrale alla distillazione, che è d’altra parte utilizzata per le classificazioni anche nel mondo del whisky, cognac, calvados, mezcal.
I rum si distinguono, in base alla distillazione, in:
- Rum fatti in batch distillation, cioè in distillazione discontinua con vari tipi di alambicchi (che nella mia Classification chiamo Pure Single Rum, prendendo spunto dalla denominazione Pure Single Malt dei whisky);
- Rum “tradizionali”, distillati in colonne Coffey o Creole, e quindi prevalentemente i rum chiamati agricole nel mondo francese; ovvero rum da puro succo di canna;
- Single Blended, che sono un caso unico nel mondo dei distillati: poiché alcune distillerie posseggono sia colonne continue che alambicchi, i Single Blended sono i rum prodotti da un’unica distilleria, miscelando rum provenienti da distillazione continua e rum provenienti da distillazione discontinua;
- Rum tout court, distillati in multicolonne.
Nell’ambito di queste categorie, non c’è una gerarchia di qualità tra i Pure Single Rum, i tradizionali e i Single Blended. La vera grande distinzione è tra questi ultimi e i rum industriali prodotti in multicolonna. Si tratta di due mondi completamente diversi: il primo (quello dei Pure Single Rum, tradizionali e Single Blended) mira a estrarre e mantenere il più possibile le caratteristiche della materia prima fermentata; l’altro (quello dei rum distillati in multicolonna) punta a produrre più etanolo possibile. Infatti nessun materiale grezzo e nessuna fermentazione appropriata, se si distilla in una multicolonna, possono dare prodotti che esprimano la qualità della materia prima.
Il resto delle caratteristiche che fanno la qualità del distillato può considerarsi consequenziale, perché è logico che, se una distilleria utilizza tecniche di distillazione non industriali allo scopo di preservare le caratteristiche della materia prima, avrà anche maggior cura nella selezione e lavorazione delle materie prime.
Con questa classificazione si riesce dunque finalmente a offrire ai Rum Lovers una suddivisione in denominazioni precise, così da far intendere la differenza fondamentale che c’è tra i prodotti più industriali e mainstream e i rum artigianali di alta qualità, che comprendono sia i Pure Single Rum che i rum agricole che i Single Blended.
Se mi guardo indietro di 5 anni, penso che pochissime persone avevano gli strumenti per distinguere un rum dozzinale da un grande distillato. Mentre oggi posso avere la soddisfazione di dire che questo mio lavoro ha portato alla fine a far emergere e a essere riconosciuti i grandi rum artigianali. Un risultato che stiamo vedendo concretizzarsi anche nell’evoluzione del mercato del rum.