Mauro Mahjoub: tra shaker da collezione e divulgazione


16 marzo 2023

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Una chiacchierata con il Re del Negroni, durante la quale abbiamo parlato della sua vasta collezione di shaker, bar tools e libri, che ci ha permesso di divagare anche sulla storia dei cocktail e del bartending.

La prima domanda con cui spesso si cominciano le interviste è un grande classico, ancorché un po’ banale: parlaci di te. Se però questa domanda mette già normalmente in difficoltà le persone, con uno come Mauro Mahjoub diventa quasi impossibile.

“Quanti giorni ho?” chiede con una risata. La sua è una carriera lunghissima, costellata di successi e vissuta tra locali divenuti iconici e l’insegnamento dei fondamentali del bartending. Con la stratosferica cifra di circa un milione di Negroni preparati in trent'anni dietro il bancone e oltre cento Negroni Twist inventati, Mauro ha vinto molti concorsi nazionali e internazionali, ha scritto libri e ha sviluppato un nuovo gin.

Una carriera, la sua, che comincia un po’ per caso e un po’ per la necessità di guadagnare i primi soldi con dei lavoretti estivi: Mauro è stato dapprima cameriere negli alberghi e tuttofare in bar e pizzerie, poi nel 1981 le cose hanno iniziato a farsi più serie.

Avevo quattordici anni quando andai a lavorare come Commis de Bar all’hotel Bristol di Beirut, un cinque stelle storico fondato nel 1885. Come si può capire dal cognome, mio padre è di origini libanesi, mentre mia madre è di Giulianova, e all’epoca mio fratello lavorava in quell’albergo come cuoco, per cui sono andato anch’io a fare una stagione lì. Per me era umiliante lavorare al bar, perché io volevo diventare dentista. Non osavo nemmeno dirlo ai miei amici, anche se poi ho guadagnato più di mio fratello.”

Tornato in Italia, Mauro continua a lavorare in hotel e pizzerie, diventando in breve tempo caposala e poi, al ritorno dal servizio militare, il destino bussa alla sua porta. Il fratello riceve un’offerta di lavoro ma decide di non accettare, e propone a lui di andare al posto suo: il posto è all’Harry’s Bar di Bologna, e da lì niente sarà più come prima. Mauro accetta il lavoro come cameriere, poi si iscrive a un primo corso da barman.

Due anni dopo torna a Giulianova e insieme al fratello prende in gestione due bar di hotel quattro stelle, e un anno dopo comincia a lavorare in maniera fissa, non più stagionale, tra hotel e American bar lungo la costa adriatica. L’ultima stagione che fa è quella del 1994, all’hotel Cristallo di Giulianova, dove contribuisce all'apertura del bar che all’epoca non c’era.

“Io parlavo già inglese e francese, oltre all’italiano e all’arabo, e non mi interessava andare a Londra o Parigi per vivere un’esperienza che non mi avrebbe dato niente di nuovo. Ecco cosa volevo fare, volevo imparare una nuova lingua. Avevo già incontrato dei tedeschi nei vari posti in cui ho lavorato: alcuni di loro non parlavano né inglese né francese, per cui ho deciso. Volevo andare in Germania per imparare una nuova lingua, non per i soldi.”

Mauro parte quindi per Monaco con l’intenzione di lavorare per sei mesi, ma appena comincia gli viene offerto un contratto per almeno due anni. “A loro non importava se non avessi imparato il tedesco”, ricorda. “Tu puoi parlare anche cinese, mi hanno detto, basta che continui a fare quello che stai facendo.

Mauro rimane per tre anni, poi nel 1998 apre il suo primo bar: è il primo Negroni bar al mondo, e non a caso si chiama Negroni.

“Era un posto abbastanza piccolo, nel quartiere francese del centro di Monaco. Nei sette anni che siamo rimasti lì abbiamo vinto il premio come migliore Cocktail bar della città, oltre a molti altri, venendo spesso citati su giornali e riviste. Poi ci siamo spostati a cinquecento metri, aprendo un locale da cento posti che ha avuto anch’esso un grande successo. Ogni sera accoglievamo attori, personaggi pubblici, giocatori del Bayern.”

Cinque anni dopo Mauro si sposta ancora, stavolta nella strada parallela a dove si trovava il Negroni, e apre da solo il Mauro’s Negroni Club, un American bar che dopo una decina d’anni viene ribattezzato Boulevardier, pur mantenendo la stessa filosofia di ospitalità e professionalità.

Nel frattempo, è arrivata una nuova offerta, stavolta da Campari: Mauro diventa il primo Brand Ambassador del marchio nel 2006, e poi due anni dopo crea la prima Campari Academy, un format che sarà esportato a Milano, Barcellona, New York e in tutto il mondo. Un’altra cosa che inorgoglisce particolarmente Mauro è l’ideazione del primo Concorso Campari ‘Liquid Art’, sempre in Germania. 

“Ci tenevo moltissimo che la prima mondiale di questo concorso avesse come tema il Twist of Negroni, ricorda, “e avevo una paura matta che lo facesse un altro prima di noi. Alla fine, dopo due anni di preparazione siamo partiti, proprio con il tema che volevo. È stato lì che è esplosa la Negroni mania”.

Visto il successo dei corsi con la Campari Academy, a Mauro viene chiesto di tenerne anche per IBA e AIBES: gli argomenti cominciano ad ampliarsi insieme alle sue conoscenze, perché nel frattempo è cominciata un’altra grande passione, quella per il collezionismo.

Mauro parte dai libri, che ha cominciato a raccogliere agli inizi della sua carriera per motivi di studio. “Volevo trovare il libro di Jerry Thomas”, ricorda. “Ho partecipato a molti concorsi, vincendone parecchi, e una delle domande che venivano fatte al Grand Prix Martini era chi fosse l’autore del primo libro sul bar. Quello che trovai fu l’edizione del 1928 di The Bon Vivant’s Companion or How to mix drinks, editata e commentata da Herbert Asbury; non era l’originale, ma io mi esaltai talmente che non ci ho dormito una settimana, chiamavo tutti e raccontavo di aver trovato il libro di Jerry Thomas. Quando ho scoperto che la versione originale era quella del 1862 ho cominciato a cercarla sul serio.”

Non è affatto semplice trovare libri antichi sull’argomento del bartending, ma ad aiutare Mauro c’è un libraio di New York, con il quale nasce un’amicizia: è lui a preparargli una lista con tutti i barman dell’Ottocento per partire con la ricerca.

Non ci sono però solo i libri, nel cuore di Mauro, che ha cominciato da bambino collezionando francobolli e scatole di fiammiferi.

“Attaccato al mio bar c’era un negozio di argenteria, il cui titolare veniva spesso a bere da me. Un giorno, nel 1998, mi dice di avere uno shaker strano, del 1932. È un Brooklyn alto quasi cinquanta centimetri, veramente formato famiglia, con un manico simile a quello di una teiera. Te lo vendo a 900 marchi, mi dice il proprietario: un’enormità per l’epoca. Però mi fa anche questa proposta: io gli do la metà dei soldi e l’altra metà la scontiamo in cocktail. È cominciata così.”

All’epoca Mauro è fidanzato con un’americana, per cui gli capita spesso di andare negli Stati Uniti: “La prima cosa che facevo quando arrivavo era buttarmi nelle librerie. Cercavo sia libri che shaker, e ho avuto fortuna perché ne ho trovati davvero tanti, soprattutto libri, tra San Francisco, New York e Portland in Oregon”.

Per trovare gli shaker, Mauro va spesso nei garage sale: “Negli USA – e non solo - la gente la domenica mette davanti ai garage le cose che vuole vendere, e lì si può trovare roba favolosa. Io riempivo dei cartoni e me li facevo spedire dalla suocera a Monaco. Poi le cose si sono fatte più serie, e ho cominciato a spendere dei soldi per degli esemplari importanti. Per esempio ho un pezzo del primo aprile 1919 che è il primo shaker elettrico: pesa quasi dieci chili e sembra un bossolo con tutta la base. Quello mi è costato quasi cinquemila marchi, anche se a volte ho avuto la fortuna di comprare degli shaker rari a pochi soldi.”

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La collezione di libri di Mauro è composta da quasi tremila volumi, ed è una delle più importanti al mondo. “Ne ho comprata una parte da Brian Rea, che ha deciso di vendere a me perché diceva che gli ricordavo lui da giovane. Andavo spesso a casa sua, vicino a Sacramento”, ci racconta, orgoglioso e anche contento di poter parlare di una figura mitologica nel mondo del bartending.

Con i suoi oltre 55 anni di servizio nel settore, Brian Rea può vantare una gloriosa carriera, cominciata nel 1947 al 21 e al Little Club di New York, che si è sviluppata tra locali iconici, consulenze prestigiose – come per esempio quelle per le UCLA e Cal Poly Universities, per importanti aziende di ristorazione, gruppi alberghieri, compagnie aeree, distillerie etc. - e la scrittura di libri. Fondatore del Museum of the American Cocktail, al tempo del loro incontro Brian possiede quella che allora è la più grande collezione di libri sul mondo del bar.

Mauro ha già da parte circa 700 libri, ma con l'acquisto della collezione di Brian riesce a completare tutti i volumi dell’Ottocento – di edizioni originali di Jerry Thomas ora ne ha sette. La metà della collezione è costituita da ricettari classici, l’altra metà è composta dalla letteratura sui bar. Da un libro del 1700 che parla dei bicchieri in Inghilterra a uno che ripercorre la storia dei saloon durante la corsa all’oro: tutto lo scibile sull’arte del bar.

In parallelo continua la ricerca degli shaker. A New York Mauro conosce Stephen Visakay, il più grande collezionista di shaker al mondo e autore del primo libro dedicato alla loro storia e valutazione. È grazie a lui che Mauro entra a far parte di un gruppo che include Visakay e altri quattro collezionisti: “Avevamo l’abitudine di riunirci a New Orleans di tanto in tanto, sempre al Tales of Cocktail, per parlare di shaker dalla mattina alla sera”.

La collezione di Mauro include 400/500 shaker: insieme agli altri accessori da bar si arriva a 1000 pezzi di bar tools in totale. “Ho uno spremiagrumi del 1850, delle pinze per il ghiaccio dell’Ottocento: sono anni di lavoro, ore passate a cercare pezzi. All’inizio era semplice, poi ho cominciato a cercare delle rarità che mi hanno richiesto anche due o tre anni.” Gli occhi gli si illuminano quando racconta del cartoncino originale su cui Cartier ha disegnato lo schizzo di uno shaker con tutte le misure, e della soddisfazione nel possedere sia il cartoncino che lo shaker originale; tutto del 1927.

La passione per libri e shaker va di pari passo con la consapevolezza di non possedere soltanto degli oggetti, ma qualcosa che ci permette di ripercorrere la storia dei cocktail e della loro evoluzione.

Dobbiamo ricordare che una volta si beveva molto di più a casa rispetto a oggi, ed è per questo che marchi come Tiffany, Napier e i più importanti argentieri americani ed europei avevano tutti una linea di barware.

“Agli inizi del Novecento, negli Stati Uniti, regalare uno shaker equivaleva a regalare un viaggio alle Maldive”, spiega Mauro. “Si diceva una volta che, quando un americano progettava la propria casa, come prima cosa costruiva un altare per lo shaker, e poi ci edificava intorno la casa. Lo shaker era considerato un regalo importante, e ce n’era uno in ogni casa. Veniva usato anche come trofeo: durante i tornei di golf, equitazione o tennis, molto spesso i primi premi erano delle coppe che si trasformavano in shaker”.

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Nella sua storia, lo shaker ha conosciuto diverse ere e si è evoluto man mano. Negli anni Trenta le persone ricche lo possedevano in argento, mentre tutte le altre in alluminio o stainless steel. Ci sono stati shaker di legno, persino in sughero, e poi in vetro negli anni Cinquanta e Sessanta. 

“Una cosa che mi piace moltissimo è vedere come ogni epoca dello shaker ci racconti qualcosa del tempo”, continua Mauro. “Se pensi ai film degli anni Trenta vedi proprio l'inizio dell'era dei cocktail. Non ce n'è uno in cui non sia presente una scena al bar, magari con il barman che shakera. Basti pensare ad Humphrey Bogart, magari ripreso con accanto un Napier originale”.

Lo shaker ha una forma caratteristica che in origine ricorda un po' una teiera con una chiusura aggiunta, proprio perché le prime aziende produttrici si ispirarono, per il lancio, al classico tea time inglese, ribattezzandolo cocktail time. Dalla forma che faceva l'occhiolino alla teiera la fantasia dei produttori si è sbizzarrita, e ha cominciato a trarre spunto dalla natura e dalle innovazioni dell'epoca: nascono shaker a forma di orso, pappagallo e gallo, e poi di aeroplanino e di zeppelin. Vengono creati dei set interi, completati da bicchieri e pinze per le olive, alcuni dei quali anche con la loro borsa da viaggio; nei tempi in cui era uso comune per le classi abbienti partire per il grand tour lo shaker era un indispensabile complemento da viaggio.

“A questo proposito io ho trovato un baule in mogano molto pesante, alto quasi un metro e largo cinquanta centimetri”, racconta Mauro. “Risale al 1893, e apparteneva a un ufficiale della marina inglese, che la portava con sé in missione. Dentro conteneva un barile da tre litri, due bottiglie e degli shaker, per prepararsi un cocktail anche a bordo”.

Dopo la seconda guerra mondiale, inevitabilmente, c'è un declino per quanto riguarda la produzione di shaker, cui si cerca di porre rimedio dopo il 1945 con la creazione di oggetti in vetro; lo shaker però non tornerà più di moda nelle case, anche perché nel frattempo subentra l'Hamilton Beach, lo shaker elettrico. 

Pare tutto dimenticato fino a quando, negli anni Ottanta, Stephen Visakay comincia a notare, andando in giro per mercatini, che le persone vendono gli shaker che si ritrovano in casa inutilizzati. Stephen non è un barman, ma insieme alla moglie si appassiona a questi oggetti dal sapore vintage e comincia a comprarli, a prezzi spesso irrisori.

“Nel momento in cui ho cominciato a collezionare shaker, Stephen aveva accumulato, dagli Ottanta ai Novanta, un vantaggio di 15 anni”, dice Mauro. “Aveva 1600 shaker, alcuni dei quali sono ora quotati anche 15 000 o 20 000 dollari, che aveva davvero pagato poco.”

L'incredibile collezione di Visakay va in televisione e viene esposta in varie occasioni, per esempio negli aeroporti; un destino simile tocca a Mauro, che ha avuto la sua collezione esposta per due mesi al Museo Storico di Cognac. Ogni anno alcuni pezzi importanti sono ospitati a Parigi, al Trophée du Bar, oltre che a Berlino e Monaco.

Alcuni dei pezzi che Mauro colleziona sono stati anche, nel tempo, utilizzati nel suo lavoro: “Per ognuno dei Martini che avevo in lista nel mio locale usavo uno shaker e un mixing glass diverso. Per esempio utilizzavo un Napier per alcuni, poi altre volte portavo con me un mixing glass di cristallo del 1925. Ho sempre usato qualcosa della mia collezione al lavoro.

Mauro non ha un pezzo preferito in particolare – è un'altra di quelle domande difficili, tantopiù per un collezionista – ma ne ricorda volentieri uno sugli altri:

“Uno dei pezzi che mi piace è uno shaker a trombone della fine degli anni Venti, che ho comprato su Ebay a un'asta. Ricordo che Visakay e gli altri del gruppo di collezionisti alla fine si accordarono per lasciarlo a me, anche se l'avrebbero voluto loro. È molto raro. Mi piace anche lo shaker a forma di scarpa rossa: uno stivalone in vetro con quattro bicchieri. Ovviamente quando il set è completo di bicchieri vale molto di più. Uno shaker che vale 3500 dollari da solo, per esempio, con i bicchieri può arrivare anche a valerne 5000.”

Il pezzo che Mauro ha fatto più fatica a trovare è lo shaker a forma di zeppelin: “Alla fine ne ho trovati tre, ma è stata una ricerca estenuante, che mi ha preso un sacco di energie. Volevo anche l'aeroplanino, ma una volta hanno cercato di imbrogliarmi con un annuncio truffa su Ebay, e da allora non me la sono più sentita di rischiare.”

Per quanto riguarda la sua collezione di libri, Mauro apprezza in particolar modo il Bartender's Manual di Harry Johnson: un vero manuale completo,in cui si parla anche di associazioni e sindacato per i barman, di come maneggiare la cassa, di come comportarsi con colleghi e clienti; “Anche il primo in cui si parli per la prima volta del jigger”, aggiunge Mauro.

Con la sua grande conoscenza storica, Mauro auspica che le nuove generazioni si possano appassionare come lui all'evoluzione del modo di fare bartending, scoprendo così di fare parte di un lungo percorso che affonda le sue radici nel passato.

“Il bar non è solo un mestiere, ma può e deve essere anche passione”, conclude con entusiasmo contagioso, lo stesso che ci ha fatto desiderare di poter presto vedere di persona da qualche parte la sua splendida collezione che ci racconta una storia emozionante.