Una chiacchierata con Olivier Monin


19 maggio 2023

Con i suoi 111 anni di storia, Monin rappresenta una delle definizioni più precise di ‘azienda familiare’ che si possano immaginare. 

Fu Georges Monin, nel 1912, a posare la prima fondamentale pietra dell’azienda nel cuore di Bourges, in Francia, cominciando a produrre liquori e sciroppi aromatizzati e conoscendo una prima fase di grandi successi, caratterizzata dal motto che ancora oggi viene utilizzato: La Passion de la Qualité.

La Seconda Guerra Mondiale, con i suoi tragici eventi, cambiò bruscamente anche il percorso dell’azienda: storie drammatiche comuni a tante famiglie, nelle quali riesce a filtrare anche un po’ di luce; lo stabilimento Monin si trovava a meno di venti chilometri dalla zona francese non occupata, e fu proprio tra le sue mura che, in attesa di raggiungere l’area sicura, trovarono rifugio oltre 100 persone ebree in fuga dall’orrore.

Georges Monin morì nel 1944, pochi giorni dopo la liberazione di Bourges, e fu il figlio Paul a prendere le redini dell’azienda, sviluppando tre settori principali: il commercio di vini, la distilleria e i succhi di frutta. La gamma di liquori e sciroppi venne rivista e rilanciata a metà degli anni Settanta; le cose, tuttavia, non andavano molto bene. 

Ci racconta tutto Oliver Monin, erede di Paul, spiegandoci come abbia unito il suo destino all’azienda fondata dal nonno.

Olivier Monin

“Nel 1986 facevo il banchiere a Chicago da oltre un anno, quando mio padre mi ha chiamato per chiedermi di tornare. Lui non stava bene di salute, l’azienda non era molto in forma: ho amato questa sfida, e sono tornato in Francia. Anche perché è molto meglio che essere un banchiere.
All’epoca l’export di Monin rappresentava appena il 5% del business, e si sviluppava perlopiù in Olanda e – poco – in Italia e in Belgio. I nostri competitor in Francia erano molto più forti di noi, e per questo ho deciso che l’unico modo per sopravvivere era cercare di rafforzare il più possibile l’export. "

“Negli anni Ottanta i liquori rappresentavano il 50% del mercato, ma la concorrenza era troppo impari, per cui io ho deciso che dovessimo concentrarci non su di loro, ma sugli sciroppi in Europa.
Ho cominciato dai paesi nordici, e ogni volta che arrivavo da qualche parte cominciavo a contattare i membri IBA (International Bartenders Association). È stato in questo momento che si è cominciato a capire che grazie agli sciroppi, che molte persone prima non sapevano come utilizzare, era possibile realizzare drink di grande potenza aromatica. Inoltre, dato che sugli sciroppi non ci sono tasse alcol, non solo le bevande create erano di migliore qualità, ma anche più economiche. È stato così che abbiamo cominciato a crescere, paese per paese.”

Non tutto procede in maniera liscia, però.

“Un primo grande passaggio critico è avvenuto negli USA intorno al 1992: qui gli assaggi non andarono bene. Quando facevo provare i nostri sciroppi, per i primi tre anni le persone dicevano che erano troppo dolci”, ricorda Olivier. “Poi, grazie a Starbucks che aveva appena aperto, si è cominciato a pensare che gli sciroppi potessero essere perfetti per aromatizzare i caffè. È stata un’ondata positiva, tanto che nel 1995 abbiamo potuto cominciare a costruire un nuovo stabilimento proprio negli USA. L’avventura americana è dunque cominciata, e dalla Florida le produzioni sono partite nel gennaio del 1996.
La crescita qui è stata molto rapida: dalla Florida abbiamo raggiunto la West Coast, e poi siamo arrivati al Giappone e ai paesi asiatici: lì abbiamo trovato nuovi sapori, che venivano magari da dei liquori, e così abbiamo avuto l’idea di produrre gli equivalenti negli USA ma nella versione sciroppo: è stato un grande successo.
In Giappone molti bartender hanno amato i nostri prodotti, e in generale la crescita in Asia è stata così rapida che nel 2009 abbiamo aperto un nuovo stabilimento in Malaysia, e poi nel 2017 in Cina”.

Una delle caratteristiche principali di Monin è la vastissima gamma di gusti disponibili.

“A oggi ne abbiamo circa 160 in commercio”, dice Oliver. “E ce ne sono attualmente altri 40 in fase di studio presso il nostro dipartimento RnD (Research and Development). Ogni volta che siamo arrivati in un paese nuovo abbiamo trovato dei gusti nuovi, come per esempio il Cherry Blossom in Giappone e lo Spicy Jamun in India. Uno degli ultimi arrivati in casa Monin è poi lo Jabuticaba, che abbiamo scoperto tre anni fa quando siamo arrivati in Brasile.”

Lo jabuticaba (Plinia jaboticaba) è un albero da frutto esotico noto anche come albero dell’uva, originario per l’appunto dal Brasile. I suoi frutti crescono direttamente dal tronco, oltre che sui rami, e sono grosse bacche scure simili all’uva, dal sapore dolce e gustoso; oltre che per il consumo da fresche, vengono utilizzate per preparare delle gelatine e dei liquori.

Ma quanti gusti all’anno vengono lanciati?

“Dipende. Alcuni anni ne escono due o tre nuovi, comunque mai più di dieci,” risponde Olivier. “Uno dei nostri punti di forza è il fatto che, avendo sette stabilimenti in tutto il mondo, con altri due in arrivo nei prossimi tre anni – in Brasile e in India – possiamo facilmente trovare frutti locali."

"Lanciare un nuovo prodotto è un lavoro enorme, che parte dal nostro RnD. A volte ci vogliono sei mesi, altre volte tre anni. Finché non siamo del tutto convinti si continua a lavorare; io voglio che ogni nuovo prodotto renda perfettamente il gusto preciso del frutto, e che la qualità sia quella garantita da Monin. Esiste un reparto RnD in ogni stabilimento, in cui si può lavorare facilmente sugli aromi locali, basandosi sul gusto dei clienti locali. È questo che rende Monin così speciale e vicina al mercato locale.

Un’altra delle grandi differenze rispetto ai nostri competitor è l’esistenza di quello che chiamiamo The Monin Studio: un vero e proprio bar, con dietro il bancone un beverage expert invece che un barman. Le persone che gravitano intorno allo Studio lavorano direttamente con i reparti locali di RnD, sono attive sul mercato e prevedono i trend futuri, che sono diversi per ogni paese.

Durante la nostra chiacchierata abbiamo anche modo di chiedere a Olivier se abbia un gusto preferito e uno che proprio non gli piace.

“Apprezzo molto il Roasted Hazelnut per il caffè, ma per quanto riguarda i gusti che non apprezzo non sono sicuramente io a decidere. Un prodotto per essere lanciato deve essere fantastico, anche se non mi piace; io mi fido del mio team. Qualche volta può non funzionare, magari siamo troppo avanti, ma è successo molto raramente che un gusto venisse richiamato indietro perché non funzionava. Anche perché con alcuni prodotti è possibile preparare fino a venti o trenta drink, tutti diversi. Come diciamo spesso, Creativity is the limit, nient’altro.”

Uno degli aspetti che rendono Monin differente rispetto ad altri marchi di sciroppi è il loro essere 100% naturali, privi di aromi e coloranti artificiali e senza conservanti: una scelta piuttosto radicale, di cui Olivier va fiero.

“Trent’anni fa, i pochi brand di sciroppi esistenti avevano venti gusti disponibili, nessuno dei quali interamente naturale. Con il tempo, a partire dagli anni Duemila in avanti, abbiamo visto una richiesta crescente per ingredienti più naturali, e posso dire che avere una ricetta al 100% naturale fa la differenza. Il periodo della pandemia, poi, ha spinto ancora di più questo trend, ed è anche per questo che stiamo crescendo, perché siamo in grado di dare alle persone quello che chiedono.
Il 99% dei nostri sciroppi, salse e puree sono completamente naturali; per ora fa eccezione giusto il Blue Curaçao, perché non eravamo ancora riusciti a trovare un blu naturale che fosse stabile per più di alcuni mesi, ma entro la fine di quest’anno saremo in grado di cambiare anche questa ricetta.
Creare prodotti completamente naturali è una grande sfida e una responsabilità per Monin; costa anche molto di più, dal 30 al 60% in più, ma il posizionamento del brand ci permette di farlo.”

A proposito di scelte di qualità, non possiamo non chiedere qualcosa anche sulla gamma Paragon, la nuova linea di Cordiali Single Botanic di Monin, un prodotto molto versatile che può sostituire la parte dolce, quella acida o addirittura entrambe in un drink, e che in Italia è stato accolto con grande entusiasmo.

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Le particolarità di Paragon risiedono prima di tutto nella nuova tipologia di questo prodotto: non è uno sciroppo, né un liquore né un succo, ma un aromatizzante, edulcorante e acidificante. Viene prodotto a partire da una tecnica di estrazione degli aromi, tramite anidride carbonica compressa, che viene utilizzata nell’industria dei profumi - si chiama Supermassive CO2 - e che riesce a far sentire tutte le sfaccettature diverse delle varietà di pepe. Inoltre, l’acido gluconico, ottenuto per ossidazione naturale del glucosio presente nel miele, estende l’aromaticità e il gusto dei drink preparati con Paragon.

“Con la crescente esigenza di prodotti naturali, alcuni clienti sono diventati molto esigenti: sono una grande comunità di esperti, alcuni hanno anche dei bar. A Dubai, per esempio, esiste un grande bar molto esclusivo, in cui ogni prodotto presente è prodotto direttamente dai proprietari, perché nessun brand, a loro parere, è abbastanza buono”, ci racconta Olivier.

“Abbiamo così deciso di trovare un modo per entrare in questi trendy bar e, dopo molto studio da parte del reparto di Ricerca e Sviluppo, abbiamo deciso di cominciare con il pepe, di cui esistono moltissime varietà. 

Abbiamo così coinvolto uno di questi esperti esigenti, Alex Kratena, di Londra, e lo abbiamo portato con noi in Camerun, per degustare vari tipi di spezie. Alla fine ci siamo concentrati definitivamente sul pepe e ne abbiamo selezionato tre tipi diversi, dal Nepal, dal Camerun e dall’Etiopia. È un prodotto eccezionale, diverso da tutti gli altri sul mercato, sicuramente non adatto a tutti i bar, ma in questo caso noi non siamo alla ricerca di volumi alti, bensì di clienti contenti. È un prodotto completamente diverso da quelli esistenti e, non essendo alcolico, ci si può fare qualsiasi cosa. Al momento stiamo lavorando sulle prossime release, ma il progetto è ancora in fase top secret.”

Ci rimane il tempo per fare una domanda sulla Velier, dato che proprio nel 2023 si celebrano vent’anni di relazione.

“In effetti ho incontrato Luca Gargano soltanto due volte, una a Parigi e una a Bourges, e mi vergogno quasi a dire che non ci siamo mai visti in Italia. I primi dieci anni non sono stati molto forti, e non abbiamo avuto un rapporto commerciale molto intenso, ma le cose sono cambiate parecchio negli ultimi dieci anni, in particolare negli ultimi cinque. I volumi sono diventati sempre più importanti, grazie allo spirito di sostenibilità che abbiamo in comune, e questo mi rende particolarmente contento. Insomma, direi che è arrivato il momento per me di approfittare di questo ventennale per tornare in Italia.”

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