Claudio Corallo: l’arte del vero cioccolato
Un’intervista esclusiva a Claudio Corallo, l’italiano considerato tra i migliori cioccolatieri al mondo. Il suo è l’unico cioccolato interamente coltivato e prodotto nello stesso luogo, sulle isole di São Tomé e Principe, nel Golfo di Guinea. Scopriamo insieme a lui cosa lo renda così prezioso.
Qual è il concetto del cioccolato per te?
Il principio di base è che per avere grandi prodotti è indispensabile avere grandi materie prime. Sembra una banalità, ma per il cacao lo si applica molto meno di quanto non si faccia per l'olio d’oliva o per il vino, per esempio. Nessuno penserebbe di produrre un buon olio d'oliva con delle olive poco buone, oppure un buon vino usando uve di seconda scelta. Ma questa è la base per ogni prodotto, e lo è quindi anche per il cioccolato.
Le nostre Big Nibs, cioè le nostre fave di cacao regolarmente in commercio, sono il prodotto che permette di capire subito di cosa sto parlando: fave crude e tostate che vengono solo sbucciate, rigorosamente a mano, con l’unico aiuto della punta di un temperino, un’operazione tra l’altro abbastanza difficile. E le fave, all’assaggio, o sono buone o non sono buone.
Quali sono invece le vostre fasi di produzione fondamentali?
La produzione si può dividere in due parti: quella che arriva fino alla raccolta e quella che dalla raccolta arriva allo stoccaggio. Per quanto riguarda la prima fase, si parte già dalla qualità dal campo: se la piantagione è in foresta, si avrà meno cacao in raccolta, meno rese, più scarti, come nel caffè; ma una volta raccolto, lavorato e selezionato, la qualità del cacao non sarà pregiudicata dagli scarsi lavori in piantagione. Chiaramente la raccolta dev'essere fatta al momento giusto.
Quindi, dopo una doppia selezione, entra in gioco la trasformazione, ovvero la fermentazione e l’essiccazione. Infine c’è lo stoccaggio. Anche questo è molto importante, perché farlo con dei prodotti freschi all'equatore non è così semplice. Dalla raccolta allo stoccaggio serve una serie di attenzioni, una catena di passaggi che ha per capo la qualità del cacao. Chiaramente, a parità di lavorazione, la differenza la fanno il terroir e la varietà.

Come mai il tuo cacao è così diverso da quello più conosciuto?
Prima di tutto chiariamo una cosa: quando un cacao è amaro, non è buono. L’amarezza è sempre un difetto, come nel caffè. Questa grande bugia che il cacao per essere buono dev'essere amaro è quantomeno sorprendente. La famosa amarezza del cacao non è dovuta all’assenza di zucchero: in realtà un cacao risulta amaro quando ha avuto dei difetti di trasformazione. Di conseguenza, aggiungere zucchero non porta a un cacao dolce, ma soltanto a un cacao amaro zuccherato. Ecco perché quando mangiamo cattiva cioccolata, una volta che sfuma la bomba di zucchero in bocca, rimane l'amaro in gola.
Il modo più semplice per capire questo concetto è assaggiare il cacao crudo: le fave di cacao mercantile, che noi proponiamo sbucciate, crude e tostate. Si presentano spezzettate perché, quando le sbucciamo, oltre al tegumento togliamo anche la radichetta o radicola, e per toglierla è necessario spezzare la fava, sia nel crudo che nel tostato. Questa è la cosa più fantastica, più semplice e più elementare che ci sia: le assaggiamo e, se sono buone, si può fare un buon cioccolato, se invece non sono buone, bisogna ritornare alla zona tecnica e vedere dov'è il problema.
Se il prodotto non è già buono così, non esistono macchine o miracoli per renderlo buono: è lo stesso principio dell’olio, come dicevo prima: sa parti da olive non buone, puoi filtrarlo, lavorarlo, alterarlo, ma alla fine ottieni comunque soltanto un lubrificante a base di olive. Per il cacao è uguale: se le fave di cacao mercantile, che è la base, non sono buone, allora davvero non c'è niente da fare.
Quanto dura la maturazione e quali sono le fasi più critiche della lavorazione?
Dal fiore al frutto occorrono circa 5 mesi. Ma solo il 2% dei fiori arrivano a dare il frutto. Se cioè hai due frutti, quello è il risultato di 100 fiori fecondati. Un buon cacao si può rovinare in ogni passaggio, anche a livello di stoccaggio. Per via della temperatura e del grado di umidità che ci sono qui, le muffe si sviluppano facilmente. Per questo noi abbiamo depositi sopraelevati e deumidificati a Nova Moca, dove abbiamo anche la piantagione di caffè, a circa 1000 metri d’altitudine. La notte siamo arrivati a registrare fino a 11 gradi, e credo che questo shock termico aiuti nella conservazione, perché i contenitori deumidificati tengono l’ambiente asciutto con queste escursioni termiche, il che favorisce il miglioramento e la manutenzione del cacao.
La maturazione durante lo stoccaggio è importante, perché il cacao, proprio come il caffè, appena lavorato ha un gusto erbaceo. È questa maturazione ulteriore che glielo fa perdere.


Anche la torrefazione è un passaggio molto delicato?
Il cacao si può rovinare solo tostandolo troppo. Se è buono crudo, se cioè fosse possibile fare una cioccolata ottima col cacao ancora crudo, allora tostarlo poco non lo rovina. Per cui in realtà è una cosa molto più semplice di quanto non si immagini.
Curiosamente per la cioccolata non si considera il fatto che più si lavora il cacao e più si perdono i sapori. Noi maciniamo poco, perché abbiamo visto che più si lavora il cacao e più si perdono la freschezza e i profumi. È lo stesso principio della steak tartare: tagliata al coltello, la carne ha un sapore, macinata con il macinino ne ha un altro. Oppure prendiamo la pasta di mandorle: appena si iniziano a pestare le mandorle sentiamo subito il profumo, ma se insistiamo troppo lo perdiamo. Un principio che vale anche per il prezzemolo, e via dicendo.
Se hai un buon cacao l'obiettivo è di mantenere i profumi, sia nel crudo che nel tostato.
Per cui è meglio limitare la lavorazione…
Per capire l’importanza della poca lavorazione, si possono facilmente comparare due nostri cioccolati. Il 75% a granulometria omogenea, e il Soft 73,5%. Nel primo, il cacao e lo zucchero sono stati mescolati e macinati insieme a 40 millesimi di millimetro; mentre il secondo contiene pezzettini di fave di cacao non macinate. La ricetta è praticamente la stessa, nel Soft c'è solo l’1,5% di zucchero in più, quindi invece di 25% si parla di 26,5%. Ed è interessante vedere quanta vitalità e freschezza in più ha il Soft, solo per via del fatto che il 12% del cacao non è macinato. È proprio come per l'olio d’oliva: se hai olive buone e le massacri nella lavorazione, perdi il profumo, mentre il miglior olio lo ottieni dalla prima spremitura a freddo.



Quindi anche la macinatura non deve essere eccessiva: a che punto è il caso di fermarsi?
Nell’industria, il cioccolato mediamente è macinato a 10/12 millesimi di millimetro. Noi ci fermiamo a circa 40 perché, se maciniamo il cacao per fare la cioccolata, il profumo aumenta fino a circa 40 millesimi di millimetro, dopodiché inizia a scemare. Se mediamente viene macinato più fine è solo per guadagnare in textura, in plasticità. Vale a dire che, se per esempio vuoi fare dei paperini di cioccolato, devi macinarlo molto più fine di come facciamo noi, così puoi renderlo più malleabile. Ma se lo vuoi mangiare, è meglio fermarti a 40 micron.
E la sbucciatura manuale delle fave che vantaggi comporta?
Se si sbuccia il cacao meccanicamente con la casse cacao tarare, le fave escono dalla macchina con almeno il 3% di radichette e tegumento. Se poi macini a 10 millesimi di mm, questi pezzettini duri di tegumento e radichette si perdono nella macinatura. Se invece ti fermi a 40 micron, si sentono sotto i denti, e quindi non puoi permetterti il lusso di averli. È per questa ragione che tutto il nostro cioccolato è fatto con cacao sbucciato manualmente: per eliminare totalmente queste parti prima della macinatura. È l'operazione più costosa, ma solo così riusciamo ad avere un cacao quanto più possibile vicino alla perfezione.