Corrado Assenza, l'artigiano del dolce
Un'intervista con Corrado Assenza, anima dello storico Caffè Sicilia a Noto, che ci ha permesso di spaziare dalla sua storia personale al rapporto con i distillati. Una conversazione intensa, caratterizzata dalla grande passione espressa dal Maestro per ogni aspetto della sua arte.
Maestro, la prima domanda è diretta: lei mangia dolci? Le piacciono?
Sì, però non sono un grandissimo mangiatore di dolci. Mi piacciono, certamente, ma più che altro mi incuriosiscono, per un motivo preciso: mi piace molto assaggiare le cose altrui per capire dove stiamo andando nella pasticceria. Mi piacciono soprattutto i dolci dei giovani, perché mi danno la possibilità di comprendere cosa pensano le nuove leve della professione, e cosa vedono loro dello stesso mondo che vedo io con i miei occhi. Attraverso il loro lavoro ho squarci e visioni che io non avrei. Assaggio tutte le parti e le lavorazioni dei dolci che facciamo durante il lavoro, con gusto, ma mi capita meno frequentemente di assaggiare i dolci finiti.
Com'è arrivato a diventare artigiano e pasticciere? Lei ha raccontato di aver dovuto prendere una decisione quando si era trasferito da qualche tempo a Bologna, è stata una scelta tormentata?
Sì, perché imponeva un radicale cambio di vita, e tra l'altro coinvolgeva anche Nives, la donna che oggi è mia moglie, che avrei dovuto strappare da Bologna e dal suo lavoro, perché lei faceva tutt'altro, come me del resto. Io ero all'università, lei faceva l'infermiera professionale al Policlinico Sant'Orsola. Abbiamo quindi deciso insieme di cambiare radicalmente vita, cominciando questa che allora era proprio un'avventura. Per me era un ritorno a casa, e al laboratorio che mi aveva visto giocare da bambino, perché era l'attività commerciale della zia. Significava anche cominciare a lavorare con quello che sarebbe diventato il mio maestro, ma che era stato il mio compagno di giochi: Roberto Giusto.

In parallelo, come sono nati l’amore e la concentrazione estrema sulla materia prima?
Io ho vissuto sempre in campagna, fin da ragazzino: mio padre, figlio di contadini, aveva fatto questa scelta di vita. Abitavamo a due chilometri dal paese, ed entrambi i genitori venivano da famiglie di contadini, piccoli possidenti terrieri. Il mio nonno materno, che era di Noto, era per molte persone dell'ambiente agricolo un vero mito: era quel tipo di possidente terriero che accoglieva a casa i suoi contadini, pranzava con loro, lavorava con loro tutto il giorno. Mio nonno, che non ho mai conosciuto perché è morto prima che io nascessi, aveva una cosa che gli altri non avevano: un calesse, e un cavallo di cui andava fierissimo. Queste cose me le hanno raccontate le persone che lavoravano con lui più che gli zii e la mamma, perché don Michelino Guastella, quando tornava in paese con il suo calesse e il suo cavallo bardato, era davvero una figura unica, un mito.
Io ho scelto di studiare agronomia e ho frequentato la facoltà di Agraria a Bologna, e questo mi ha dato la possibilità di costruire una conoscenza scientifica che giustificasse l'empirismo di cui ero stato nutrito da bambino e da ragazzo, e che ho potuto portare anche nel laboratorio di pasticceria.
La chimica, la fisica, la biologia, la zoologia, la botanica, sono stati miei compagni di lavoro nei primi anni, perché mi spiegavano quello che faceva il mio maestro, che aveva la seconda elementare e quindi possedeva solo la praticità e la capacità empirica di organizzare il lavoro. A me serviva unire quello che lui faceva alle mie conoscenze scientifiche e tecniche.
Qual è l’ingrediente della sua terra di cui non potrebbe mai fare a meno?
Ce n'è più di uno. Il primo è chiaramente la mandorla, ma assieme metto gli agrumi, il miele e le erbe aromatiche spontanee che vado spesso a raccogliere. L'altro giorno per esempio, sapendo che l'indomani sarebbe piovuto, sono andato a fare una raccolta straordinaria di timo e rosmarino selvatici, che utilizziamo per fare dei biscotti. Ho notato che le piante alla fine dell'estate erano stremate; molte sono morte per la siccità. Le piogge abbondanti di novembre hanno creato una nuova vegetazione, cosa che non sarebbe dovuta succedere, dato che la pianta dovrebbe andare in quiescenza per l'inverno: il rosmarino è persino fiorito per via delle alte temperature, assolutamente non invernali.



Siccome in questa intervista vorremmo approfondire il suo rapporto con gli alcolici, le faccio una copia della prima domanda: lei beve alcolici? E qual è il suo distillato preferito?
Bevo alcolici e mi piacciono. Ho una predilezione particolare per il rum e i distillati di frutta. Mi piacciono molto anche i calvados, mentre devo dire che mi piacciono un po' meno i whisky e i cognac, a meno che non siano cose strepitose, quei pezzi unici e rari che nella gamma Velier si possono incontrare facilmente. Gianni Capovilla è un carissimo amico e un complice particolare, così come Josko Gravner: queste frequentazioni mi hanno regalato una conoscenza che magari non sarebbe usuale per un pasticciere. Io, del resto, non mi ritengo un pasticciere classico: a me piace molto l'idea di essere artigiano del dolce, per cui la sintonia che nasce con Gianni Capovilla e con Josko Gravner risiede nell'artigianalità delle nostre giornate e del nostro lavoro.
La pasticceria ha da sempre un legame forte con gli elementi alcolici. Cosa comporta l’utilizzo di prodotti di alto grado in pasticceria? Dato che lei non lesina su nulla, e quindi nemmeno sugli alcolici, come si fa a utilizzare questi prodotti tecnicamente?
Guardi, è una cosa molto semplice. Per me i grandi distillati in pasticceria sono fonte di aromi, sono cioè completamenti degli aromi che io trovo freschi nella mia natura. Così, il rum mi dà tutta una gamma di profumi e aromi che mi piace quando voglio esprimere calore. Quando voglio esprimere freschezza, invece, utilizzo la gamma dei gin, e quando voglio esprimere profumi intensi ma allo stesso tempo freschi vado a scegliere qualche vodka. È facilissimo arrivare all'abbinamento in pasticceria del grande spirito di qualità, e dà dei riscontri molto interessanti, che ancora oggi molti pasticcieri contemporanei non hanno scovato.
In effetti di solito si pensa ad abbinamenti classici, come per esempio cioccolato e rum...
E pomodoro, limone e gin dove lo mettiamo? Oppure gin e rosmarino, che possono stare dentro una pralina o anche una torta? Molto frettolosamente e molto banalmente si pensa all'abbinamento dei grandi spiriti con il cioccolato, per cui si pensa: pasticceria uguale cioccolato e grande spirito. Ma la grande pasticceria ha come ingrediente anche il cioccolato, non solo. Il cioccolato è comodo perché piace molto, perché lo puoi stampare e ripetere facilmente in tante migliaia di pezzi.
Una cosa che a me affascina molto e che mi dà la possibilità di sbizzarrirmi sono per esempio le torte sartoriali, cioè quelle che fai una sola volta nella vita. Quelle che dedichi a una persona perché te la chiede un committente, che può essere un amico o un cliente, che per un'occasione speciale vuole avere una torta speciale. Mi succede sempre più frequentemente, perché negli ultimi anni a Noto siamo felici di avere una clientela molto internazionale.
C'è gente che viene a sposarsi a Noto perché vuole una torta di matrimonio fatta dal Caffè Sicilia, e mi lascia carta bianca. È lì che nascono cose come per esempio una torta con crema di basilico e pezzi di prugne rosse sciroppate e passate nel gin, che si ritrova quindi insieme al basilico. Qui poi avevamo la nota agrumata nella glassa che copriva la torta, e che non era la glassa lucida da carrozziere dell'ultima generazione, quanto piuttosto una gelatina semplicissima, trasparente, che guarniva e copriva, laccandola, la crema di superficie, in una gamma di profumi che arrivavano insieme al pan di Spagna imbevuto con il gin della marinatura con la prugna rossa, che quindi colorava, aromatizzava e profumava. C'è poi la gelateria: qui da noi i grandi spiriti si trovano dentro il gelato, non a bagnare.
Quali sono le preparazioni più difficili tra quelle a base alcolica? Dov'è che è più difficile inserire l'alcol?
È più difficile nei dolci da forno. Nei biscotti è quasi impossibile, perché il ciclo termico di cottura deforma la bontà dello spirito. Per questo vengono aggiunti magari poi, a fine cottura. Per il resto non ci sono grosse difficoltà nell'utilizzo dei superalcolici in pasticceria. Io non ne vedo.
Qual è la sua ricetta tradizionale alcolica preferita?
Tra i cocktail, mi piacciono soprattutto il Gin Tonic e il Negroni – anche il Vodka Tonic. Ci faccio grandi variazioni intorno, mi piace assaggiare in questo modo gin e vodke diverse. Mi piacciono gli spiriti bianchi, che esprimono freschezza, perché poi li consumo soprattutto in estate. In inverno preferisco le cose più calde e quindi i rum, lisci e senza alcuna aggiunta.
Per quanto riguarda i dolci a base alcolica, invece, devo dire la cassata, che ha sempre una base alcolica, costituita dalla bagna utilizzata per il pan di Spagna. Noi seguiamo la nostra ricetta di famiglia, in cui va utilizzato un rum giamaicano. Abbiamo poi una produzione di frutta sciroppata e candita che segue le stagioni dell'anno, per cui in inverno abbiamo le produzioni di canditi di agrumi, poi gli sciroppi di agrumi che utilizziamo nelle bagne che ci servono per i pan di Spagna delle cassate e delle altre torte. Abbiamo poi tutta una serie di frutte sciroppate durante la stagione estiva, che fanno tutte parte di quell'arricchimento del gusto delle bagne di pasticceria: sono prugne, pesche, albicocche, ciliege, amarene, a cui uniamo i rum, i vermouth, i gin, per comporre quello che poi uniamo ai singoli dolci.
Qual è il ricordo dolce che ha segnato per lei una svolta, che l'ha toccata di più? Ci racconta il suo dolce del ricordo?
Ci sono tanti momenti dolci che ricordo nella mia vita, che hanno segnato delle svolte. Da ragazzo, per esempio, ricordo il mio dolce preferito, il diplomatico di ricotta, che per me rimane una memorabilia. Oggi non è più in auge perché è cambiato il gusto del pubblico, per cui quando mi danno carta bianca lo inserisco nei menu, per poter riproporre la ricotta e il pan di Spagna inzuppato nel rum, che mi fanno sempre molto piacere.
Ci sono però due momenti che hanno segnato delle svolte, e mi hanno dato una comprensione di ciò che stava succedendo. Uno è stato durante Identità Golose nel 2016. Ero sempre stato invitato a tutte le edizioni per tenere una relazione, ma quell'anno non mi diedero spazio nella sezione dedicata alla pasticceria, bensì in una nuova, dedicata alla pasticceria contemporanea. La cosa che mi colpì tantissimo e che ricordo, però, fu vedere che i cinque pasticcieri chiamati a tenere una relazione nello spazio pasticceria, pur non essendo noi presenti, sottolinearono esplicitamente la nostra presenza nel loro lavoro. Eravamo più presenti con la nostra assenza, perché tutti avevano mostrato di aver seguito ciò che noi avevamo fatto negli anni precedenti. Ricordo per esempio Ascanio Brozzetti, allora pasticciere di Massimiliano Alajmo alle Calandre, che arrivò addirittura con le cassette di insalata sul palco!
Loro non avevano mai fatto prima un dolce con l'insalata, ma la mia grande amicizia con Alajmo, e la conoscenza reciproca del nostro lavoro aveva reso possibile questo scambio. Quell'anno, tutti avevano portato come ingredienti dei propri dolci alcuni vegetali che non appartenevano alla canonica gamma di prodotti da pasticceria.
Poi c'è stato un altro episodio, sempre legato a Identità Golose, che vede un primo pezzo di ricordo al ristorante Dina a Gussago, di proprietà di Alberto Gipponi, un cuoco non giovanissimo di età ma giovane di professione, mio grande amico. Lui mi preparò una cena e mi offrì come pre-dessert un risotto con un'animella e una nota dolce di vegetale. Ho il millimetrico ricordo di questa ricetta quando, dovendo affrontare il tema dell'anno successivo a Identità Golose, propongo in memoria di quello una mia versione di risotto, ma con l'agnello. L'agnello era pugliese, il riso era lombardo, le erbe aromatiche erano siciliane, come la menta. Alberto, che era presente, rimase scioccato e folgorato dal fatto che io avessi pensato quella ricetta dedicandola a lui, e richiamando alla sua e alla mia memoria quell'esperienza nel suo ristorante. In quel risotto c'erano anche delle amarene e lo sciroppo di amarena: era tutto ciò che era possibile esprimere in dolce anche attraverso degli ingredienti che di solito non vengono utilizzati per creare dei dolci. È proprio quel concetto che mi piace esprimere nella pasticceria contemporanea: non è detto che le dolcezze stiano necessariamente tutte alla fine del pasto.