La qualità nelle bevande sodate è semplicemente tutto
Abbiamo incontrato Tim Warrillow, CEO di Fever Tree, a Milano: cinque domande all'uomo che ha cambiato per sempre il mondo dei mixers.
Sembrano passati dei secoli, ma prima del 2005 le bibite gassate utilizzate per la mixology erano ritenute assolutamente secondarie: un fatto incredibile, se si pensa che ad esempio in un cocktail popolarissimo come il Gin & Tonic rappresentano il 75% della ricetta. Da questo semplice assunto nasce peraltro l’iconico claim, vero e proprio cavallo di battaglia di Fever Tree: “Se tre quarti del tuo drink sono il mixer, assicurati di usare solo il migliore”. E 18 anni dopo la rivoluzione della qualità compiuta dal brand londinese, oggi sono per fortuna in tanti ad affidarsi a questo dogma, visto che Fever Tree rappresenta, da sola, il 35% del business dei premium mixers nel mondo.
La relazione tra Fever Tree e Velier è di lunga data, e risale al Salone del Gusto del 2007, quando lo chef Ferran Adrià parla di questa acqua tonica straordinaria e ancora sconosciuta a Luca Gargano, il quale va subito a Londra per incontrare i due creatori e proprietari Charles Rolls e Tim Warrilow. Come racconta lo stesso Luca:
“Seduto in un bar londinese davanti a una bottiglietta di acqua tonica, invece che un vino o un distillato, ho conosciuto le prime persone che concepissero un soft drink partendo dall’accurata ricerca e dall’alta qualità della materia prima. Così ci siamo accordati per distribuirla in Italia, terzo paese europeo a farlo. In pochi avrebbero scommesso su un’acqua tonica, per quanto di pregio, eppure oggi Fever Tree è il prodotto numero uno della Velier.”
Abbiamo intervistato il co-fondatore e CEO di Fever Tree, Tim Warrilow, domandandogli del mercato italiano e delle prospettive per il futuro. Ecco cosa ci ha risposto.
Fever Tree ha cambiato per sempre il mondo dei sodati, e uno dei primi mercati a credere in questa rivoluzione è stato l’Italia. Oggi il mercato italiano conserva qualche peculiarità rispetto al resto dei Paesi in cui Fever Tree è presente?
La risposta è sì e no allo stesso tempo. Direi di sì perché uno dei motivi per cui le persone, me incluso, amano venire in Italia, è sicuramente perché voi sapete apprezzare il mangiare e il bere bene. Storicamente c’è sempre stato interesse negli ingredienti di qualità e nella qualità in generale, un aspetto che abbiamo visto fin dagli inizi, e inoltre c’è una community molto vivace e ben insediata: sono i due motivi per cui l’Italia è da tempo un mercato importantissimo per noi in Europa.
Per altri versi però la risposta è anche “no”, perché la cosa stimolante attualmente è questo trend per cui le persone bevono più premium spirits e mixer rispetto a prima e questo, mi fa piacere dirlo, non lo vediamo solo in Italia ma globalmente, sia in Europa che nel mondo. Vedere crescere sempre di più questo trend rappresenta un grande vantaggio per Fever Tree. Non solo, anche per vari distillati, che sono spinti e promossi anche come mixed spirits. Oggi noi parliamo non solo con dei marchi di gin, vodka tequila e rum, ma anche di vermouth e bitter italiani, e questa è davvero una grande opportunità.
Per quanto riguarda i mercati maturi, quali sono le previsioni a medio termine per l’evoluzione dei canali on e off-trade e quale ruolo può e deve giocare l’Italia?
Nella fase post-covid abbiamo notato delle differenze nei nostri mercati nel mondo. Qui in Europa meridionale il mercato on-trade è tornato alla vita in modo incredibilmente rapido – la gente non vedeva l’ora di tornare a uscire di nuovo - il che è normale, vista la bellezza dei posti e il clima. Nel nord Europa è stato molto diverso, perché le persone sono molto più lente nel tornare all’on-trade e quindi negli hotel, bar e ristoranti: forse è stata una maggiore prudenza, ma ci sono anche abitudini più radicate nel bere a casa. Qui i cambiamenti nell’on-trade sono stati piccoli. Sicuramente con il passare del tempo queste cose torneranno alla totale normalità, ma questo è quello che abbiamo visto finora. Quello che però mi pare interessante notare è che una delle conseguenze della pandemia è stata che le persone sono tornate a prepararsi i drink a casa, in misura maggiore rispetto a prima e come abitudine diffusa. Direi che questo è davvero un trend in crescita.
Velier ha creduto fin da subito nella rivoluzione qualitativa portata avanti e vinta da Fever Tree. È lo stesso approccio che portiamo avanti nella scelta dei prodotti da inserire nel nostro catalogo, e anche quando diventiamo produttori come co-bottlers. Ma quanto è difficile oggi coniugare le dimensioni raggiunte da Fever Tree con un approccio craft, ad esempio nel reperimento delle materie prime e nella loro lavorazione?
Questo approccio rimane assolutamente centrale per il brand, e non è mai cambiato. Uno degli aspetti del business a cui mi dedico con tutto me stesso è viaggiare per trovare nuovi ingredienti, solo i migliori: sono sempre stato molto attento a questa tematica perché ho sempre creduto e credo fortemente che noi dobbiamo davvero usare le migliori materie prime possibili. Nessun compromesso su questo, è una cosa che facciamo ancora e che abbiamo sempre fatto: è una strategia che non è mai cambiata. Di recente sono stato in India per cercare dello zenzero, e ho altri viaggi in programma per trovare nuovi ingredienti. Questo è vitale per il business, e penso che sia stato davvero indispensabile per il nostro successo, oltre che per la comunicazione: abbiamo indicato le differenze di qualità fin dal primo giorno. Penso che le persone apprezzino anche questo fatto, che non facciamo compromessi in nessuna fase.
Il Gin & Tonic continua a comandare le classifiche dei consumi per i long drink, con una sempre maggiore stratificazione di aromi e stili. Fever Tree ha già allargato la gamma delle toniche, ma pensa di continuare a diversificare oppure ritiene sia meglio non diluire troppo il brand e offrire solo poche e ben identificabili alternative al consumatore?
In origine abbiamo compreso che non c'erano davvero delle acque toniche di alto profilo rispetto a dei gin di qualità sempre maggiore, ed è proprio per questo che siamo andati a cercare i migliori ingredienti per produrre qualcosa di superiore. Non solo ognuno degli ingredienti usati fino a quel momento era stato standardizzato e appiattito, ma in effetti un altro problema era anche la mancanza di scelta. Noi abbiamo fortemente voluto portare varietà nella categoria, per cui abbiamo iniziato a sviluppare diversi stili di acque toniche per differenti stili di gin: è così che è nata la nostra gamma di toniche. È stato questo il cuore del nostro successo, ma non è il punto di arrivo, perché stiamo continuando a sviluppare nuovi aromi e posso anticipare che arriveranno ancora molte novità.
Il Gin non si ferma ma altre mode si affacciano, per esempio i distillati di agave stanno iniziando a diventare popolari anche qui in Europa e in Italia. Voi avete affiancato il boom del Paloma con la Pink Grapefruit. Pensate di accompagnare la moda dell’agave o nuove tendenze su altri distillati con lanci di nuovi prodotti a breve?
Per quanto riguarda il Paloma è molto stimolante vedere come sta andando in tutto il mondo. Il tequila è molto trendy, e i bartender credono molto in questo prodotto, che è facilmente miscelabile. Negli Stati Uniti il business del Paloma è molto ampio, ma abbiamo anche questa fantastica Fever Tree Mexican Lime Soda, che crea un perfetto Ranch Water (uno dei cocktail più popolari in Texas, ndr). È un drink semplice e delizioso, che sta tutto nella qualità degli ingredienti, e ci auguriamo che raggiungerà anche il mercato italiano in tempi non troppo lunghi. A ogni modo non c’è dubbio, il tequila sta crescendo e continuerà a farlo in termini di popolarità. La nostra strategia, come sempre, è creare toniche che si abbinino a cocktail popolari.